ESPIAZIONE
REGIA: Joe Wright
SCENEGGIATURA: Ian McEwan, Christopher Hampton
CAST: Keira Knightley, James McAvoy, Romola Garai
ANNO: 2007
A cura di Alessandro Tavola
VENEZIA 07’: SCUSE ACCETTATE, BIENNALE
Clamore d’essere d’apertura d’un festival, nel momento stesso in cui tutti se ne chiedono il perché. Per quanto possa essere stato gradito Orgoglio e pregiudizio, la scelta non può che esservi (ri)caduta per Keira Knightley, meriti ed elogi dovuti, qui e altrove; più che sul regista di entrambi i film.
Espiazione, Atonement. Che ricorda l’astonishment, che però non c’è per nulla.
Seconda sua trasposizione letteraria, che qui però non può godere della (in)fam(i)a dell’opera stessa: difetti e comunque scelte che saltano alla luce, pi(en)o focalizzarsi alla filmicità, allo storytelling, che qui è sfilare di una modella dietro un vetro o intrappolata nel petrolio di un catalogo. Qual aspettata gioia che rincorre ricordi per aver luogo!
Joe Wright dà luogo senza dubbio all’eleganza e alla chiarezza, verso i personaggi e i luoghi dell’immagine, dai costumi alle scenografie, ma và a mancare l’atmosfera: le musiche appartengono all’anonimato che troppo rappresentazioni di questo tipo possiedono, costrette o soggette al sentirsi debitrici verso qualche tradizione, canone, clichè che classicismo ipotetico impone, ma soprattutto la fortissima lucidità registica fa sì che tutto venga elogiato, amato, baciato, accarezzante calligrafia in una maniera che sfugge dall’essere accademista e routinaria in partenza ma che vi cade, trapasso della regia ste(s)sa. Così che le promesse nell’incominciare del ticchettare dei tasti della macchina da scrivere abbracciano lo stesso farsi osservare/udire, scandendo tumulti casalinghi e (inter)personali; dopo scompaiono o subiscono un avvicendarsi col ruolo spettatoriale tale da non valere più nulla, poi nell’appiattimento che diventa, alla lunga, difetto: il fatto che recitazione, ambienti, resa dell’immagine siano trattati tutti con la medesima presentissima cura fa sì che nessuno di essi valga “di più” rispetto agli altri, annullando conflitti e contrasti, dicendo troppo – maniera atona – e quindi, non dicendo più nulla. Tanto da perdere il (valore del) filo perché ogni dialogo, stacco, intuizione, sguardo tra interpreti, flessione narrativa è un bel viso in mezzo ad altri cento bei visi.
Emblema: il piano sequenza che mostra il campo di soldati spiando tra le fila, descrivendone la situazione, soffermandosi su ubriachi presi dal cantare, pitturando di oscuro il tutto atmosferico e ambientale, plotone dopo plotone, bombe sullo sfondo, fino all’immensità degli spazi. Svariati minuti impeccabili spruzzati del ricordo di Children of men non nocivi e non edulcoranti, privi di sapore, nella loro singolarità e nel discorso complessivo.
Espiazione pare sia uno dei nuovi portabandiera del mutismo delle immagini, che scivolano, trasporre di parole, del cinema come marionetta della letteratura, che già di per sé pare essere un genere ben definito, qui più che altrove. Più che ne Il codice Da Vinci. E io che sto scrivendo non ho letto nessuno dei due libri d’origine: è tutta sensazione della visione, per le cadenze troppo schematiche, per la composizione che “sta lì” e basta, per l’assoggettamento delle immagini (dovendo, mi ripeto) e l’intercorrere di una mancanza, che va bene, e degli strumenti, che però devono esserci.
Piacevole visione, piacevole masticare una barretta, totalmente ipocalorica. Perdita di tempo per chi col Cinema è obeso. Ma anche per chi ne consuma a pasti regolari.
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