L’EVOCAZIONE – THE CONJURING di James Wan
REGIA: James Wan
SCENEGGIATURA: Chad Hayes, Carey Hayes
CAST: Vera Farmiga, Patrick Wilson, Lili Taylor, Ron Livingston, Shanley Caswell, Hayley McFarland, Joey King, Kyla Deaver
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013
L’HORROR NEO-CLASSICO
Bambole invasate, porte che emettono stridii inquietanti, esorcismi, armadi che celano orrori, perfino, nel finale, delle irruzioni armate che vorrebbero essere risolutive filmate con la sicurezza ferrea di chi si sa il fatto suo. C’è tutto questo nel nuovo film del regista prodigio dell’horror americano contemporaneo, quel ragazzo di origini malesi di nome James Wan che solo dieci anni fa irrompeva nell’immaginario del cinema di paura con l’ecatombe di Saw, ridisegnandone per sempre i pilastri portanti. L’evocazione maneggia elementi di base con efficacia, manovra con saggezza e oculatezza archetipi che il filone demoniaco ci ha già ampiamente propinato in passato, in quantità industriali e in forme puntualmente riprese negli anni con un’originalità ridotta il più delle volte al grado zero. Il rischio di risultare derivativo, però, per Wan non si pone neanche. Ed è tutta una questione di mentalità ed atteggiamento: nel suo film si mimano i connotati estetici e contenutistici degli anni ’70 e si parte da una storia vera, aggirando le scorciatoie ammiccanti e para-documentaristiche di gran parte dell’horror oggi imperante, quello fin troppo sopravvalutato degli Oren Peli e dei The Blair Witch Project. La volontà precisa sta nel voler ridare al genere un’identità artigianale di primissimo livello, senza timore di piegarsi a esigenze e richieste del mercato mainstream.
Un tuffo all’indietro che pone automaticamente Wan nella scia gloriosa dei classici della storia del cinema e a debita distanza dalle pseudo-riflessioni semantiche dettate da telecamere portatili, riprese a circuito chiuso e camere a mano traballanti rubate al cinema verité e applicate alla genesi del terrore cinematografico. Wan infatti sa bene che la paura al cinema, quella vera, ha origini ben più rodate e di sicuro impatto: nasce dalla gestione capillare dello spazio, dei corridoi e del non-detto o non-visibile molto più che dall’ennesima disamina appiccicaticcia e malferma sulla postmodernità e l’attendibilità delle immagini contemporanee, tutte tematiche che altri generi al momento più trasversali dell’horror sono forse in grado di sviluppare con maggiore pertinenza (si pensi al sontuoso war-movie sui generis costituito dal Redacted depalmiano). D’altronde, oggigiorno, l’horror va in una direzione sempre meno ibrida. E, piaccia o no, è sempre meno politico che in passato. Per quanto si potesse leggere lo stesso Saw da una prospettiva allegorica, si trattava, a conti fatti, di letture un po’ forzate e ponderose. In questo caso si viaggia dunque in direzione di una quasi totale epurazione del sottotesto e delle lettura profonde, a tutto vantaggio della funzionalità cristallina di un ingranaggio che sappia avvincere le platee col suo appeal. Non c’è da stupirsi, dunque, se i film di James Wan continuano ad incassare benissimo in America e non solo (si vedano anche i risultati al box-office del precedente, ottimo Insidious). Il suo cinema è infatti garanzia di intrattenimento granitico oltre che caposaldo indiscusso di quel raro horror odierno che non si fregia di particolari volontà revisioniste ma preferisce mirare alla sostanza delle cose. In tal senso, Wan è un equilibrista di livello, che sa adattarsi alle contingenze e al gusto generalizzato: un anti-ideologo militante, verrebbe da dire. Un evidente ossimoro ma, duole ammetterlo, anche l’unica forma di appartenenza oggi possibile dinanzi alla selvaggia proliferazione di ciarlatani del linguaggio filmico più o meno abili o smaliziati.
Ne L’evocazione, il regista di Dead Silence racconta di un caso di possessione avvenuto agli inizi degli anni ’70 nel Rhode Island che ha visto protagonisti i demonologi Warren, realmente esistiti ed esploratori del paranormale nell’arco di oltre un cinquantennio, portando a casa il risultato con mano sicura e zero rischi. Ottimo interprete delle tendenze odierne, Wan è oramai una voce a sé, un ripetitore seriale che non ci offre nulla che non abbiamo già visto in passato e che non ci è possibile prevedere nei suoi sviluppi più o meno telefonati. La sua carta vincente è però il modo salutare con cui riesce a guardare ai precedenti illustri (L’esorcista, Rosemary’s Baby) senza sentirne sulle spalle il peso ingombrante o tantomeno tentando di replicarli, ma piuttosto con invidiabile padronanza dei propri mezzi e delle proprie potenzialità espressive, non eccelse ma di sicuro molto più che dignitose. Ecco che allora, dinanzi a un mare magnum indiscriminato di found footage e miscele di verità e finzione che sembrano aver dimenticato l’intima bellezza del vintage autentico, un piano sequenza familiare come quello iniziale e il flashback finale durante l’esorcismo, nel loro essere orgogliosamente neo-classici, arrivano ad assumere le sembianze di un cinema horror bello e necessario come pochi altri.