FALSE VERITA’
REGIA: Atom Egoyan
CAST: Kevin Bacon, Colin Firth, Alison Lohman
SCENEGGIATURA: Atom Egoyan
ANNO: 2005
A cura di Davide Ticchi
L’ABITO NON FA IL MONACO
Già la figura del Babbo Bastardo,
interpretato da Billy Bob Thornton
nel 2003, chiarifica al meglio il presupposto di questo deludente undicesimo
film del maestro canadese Atom Egoyan,
ovvero quello di basare una pellicola sull’archetipo del comico o
entertainer fondamentalmente stronzo. Che sia alcolista, sessuofobo o drogato
non ha molta importanza, il regista lo rende un insieme di tutto ciò e lo
sistema sul proscenio del Telthon americano, insieme al suo degno compare. I
due sono così pronti a far ridere e piangere, oltre che cadere nell’oblio
della corruzione e della consunzione. Tutto ciò accade davanti agli occhi degli
spettatori a cui è richiesta prima di tutto serietà dello sguardo, quando in
realtà sono i due protagonisti che si prendono troppo sul serio portando a
scene di comicità involontaria, che vengono invece considerate tanto
all’altezza da poterci costruire un film sopra. Infatti il pianto sul
palco, per reazione all’omicidio accaduto nella stanza dei comici e poi
messo a tacere, appare immediatamente un espediente senile e logoro di annuncio
a quel fatidico ribaltamento o colpo di scena, che si verrà certamente a
verificare durante lo sviluppo del film. E così si dimostrerà
inequivocabilmente essere, senza appunto vere e proprie svolte narrative
quantomeno inattese, un giallo spurio che pretende di intersecare insieme temi
anche bizzarri e dissonanti fra loro come il lesbicismo, la carriera di comico,
la corruzione, i soldi e ovviamente anche la morte. Tutte queste tracce vengono
affrontate con grande attenzione almeno durante l’incipit, quando
sembrano combinarsi l’una con l’altra armoniosamente in un
susseguirsi di dettagli e dialoghi che riconducono alla personalità dei
protagonisti, senza trascendere in una caratterizzazione monocorde e priva di
influenze, che anche solo attraverso l’aspetto televisione/realtà si
percepiscono. Infatti questi elementi, inizialmente esigui, creano
un’atmosfera ampiamente trasportante e di grande ingegno visivo, basti
pensare alla grande abilità che Egoyan
palesa ogni qualvolta deve alternare sequenze apparentemente seriose e portanti
(lo spettacolo televisivo in b/n) ad altre di sesso anche gratuito che
divertono soprattutto grazie ad una buona colonna sonora. Insomma grande (ed
unico) merito di Egoyan in questo
film è quello di prendersi ancora quella libertà d’autore che gli spetta
di diritto (e dovere), mettendo in scena quegli anti-climax propedeutici a
depistare una tensione che si insegue solo nel finale ed
un’autocelebrazione stilistica che cade presto nello statico ed
atarassico: dimostrare. Praticamente nulla c’è da dimostrare, almeno per
un autore come Egoyan che non certo
per False verità viene invitato a Cannes, quanto per il suo invidiato talento e
nome. Ma in questo film oltre ai grandi nomi di regista e attori spicca ben
poco: scarsa chiarezza espositiva, sempre in virtù di un’estetica
anestetizzata, e colossale ingenuità nella risoluzione di enigmi classici del
cinema yellow, tanto colossale da profumare di “studiato a tavolino”.
Infatti non può essere un caso che si scopra l’assassino solo dopo
un’artificiosa ricostruzione reale dei fatti, racimolati tramite lettere,
supposizioni erronee, ellissi perfettamente volontarie… Risulta evidente
come l’intento pur onorevole di un regista come Atom Egoyan sia stato quello di fondere il thriller-yellow tipico
degli anni cinquanta e sessanta, con il noir più brumoso e tipicamente egoyano
dell’audace femminilità e della perversione maschile. Non è un caso la
grande ricercatezza scenografica e dei costumi, che modernizzano gli archetipi
di molto cinema giallo sornione, che viene qui risvegliato con troppe infusioni
di adrenalina senza che nessuna ottenga in fondo una reazione convincente.
Basti pensare alla duplice messa in scena dell’omicidio da cui nasce
tutto: i due comici in stanza che fanno sesso nei modi più audaci si rivela
essere solo una erronea supposizione, mentre quando amoreggiano con la
cameriera e fra di loro si dipana la verità. Questa verità che porta a un
omicidio e viene zittita, assomiglia ad un pretesto per una nuova trama del
racconto, come quella del rapporto di omosessualità tra i due compagni comici e
tra la protagonista e l’Alice del paese delle meraviglie, non presenti
nel sottotesto come nell’Inseparabili cronenberghiano, ma ostentate
goffamente senza suscitare altra reazione che quella di una riflessione
riguardante le abitudini sessuali dei protagonisti.
L’importante, sembra volerci suggerire Egoyan, è cogliere il perché di un omicidio attraverso tanti altri
atti che contengono altrettanti presupposti malsani di esso. Anche se alla
fine, questo non basta per fare di un’ intenzione del buon cinema.
Sappiamo per certo che dal prossimo film già si rifarà.
(26/04/06)