FATTI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA
REGIA: Daniele Costantini
INTERPRETI: Francesco Pannofino, Roberto Brunetti, Francesco Dominedo
SCENEGGIATURA: Daniele Costantini
ANNO: 2005
A cura di Luca Lombardini
STORIE DI (MALA) VITA
Un’angusta stanza per gli interrogatori, sedie sparse, una solida
scrivania di legno marrone: è tutto ciò che serve a Daniele Costantini per mettere in scena
le memorie, i volti, “le gesta”, i nomi (fittizi) e i soprannomi
(veri), dei componenti di una delle associazioni
malavitose più feroci e misteriose che la recente storia italiana ricordi. Fatti della banda della Magliana,
muove le fila dalla “commedia” teatrale intitolata Chiacchiere e sangue,
scritta e diretta dallo stesso Costantini, e proprio sui tempi, sui ritmi, sui silenzi e
sulle pause tipiche del teatro, nasce, cresce e muore, parallelamente
all’intrecciarsi delle memorie dei suoi protagonisti. Fatti della banda della Magliana
spiazza, affascina e disturba perché in grado di
trasportare lo spettatore in un limbo artistico che sta a metà tra cinema e
azione scenica rappresentata, zona d’ombra sperimentale e creativa, non
luogo ideale che permette al regista di amalgamare al meglio Brecht, Gogol, Beckett ed Henry James. “Ubaldino”, “Operaietto”, “Raguseo”,
“Palletta”, “Sandrone”,
“er Diavolo”, si accaparrano dinanzi al
verbale di un giudice che pare fantasma sino all’ultima sequenza, per
raccontare le presunte verità di che è ancora vivo (“Palletta”
e “Sandrone”), cercando così di
controbattere alle accuse di chi è ormai passato a miglior vita
(“Ubaldino” e Marras, il primo fatto
seppellire dai familiari tra i Cardinali, il secondo tumulato dai suoi ex
compari in una buca scavata in un terreno edificabile). Non c’è traccia
di redenzione nelle parole di questo lugubre gruppetto di morti viventi, ma
solo il desiderio di far mettere nero su bianco la cronaca reale delle macabre
danze di sangue da loro stessi allestite: <<Ce
l’ha na’ penna signor giudice? Allora la tiri fora che me vojo
pentì>>. Questo l’incipit verbale di Francesco Pannofino, e la macchina del
tempo torna indietro alla fine della seconda metà degli anni ’70: il
rapimento del Duca “Boncompagni”, il
primo miliardo e mezzo di “cassa comune”, i tempi della
“stecca para”, dei pari diritti e dei pari doveri, dell’uno
per otto e dell’otto per uno. Si continua con l’omicidio di “er Teribbile” a Tor di Valle, la presa di Roma attraverso il controllo del narco traffico, fino ad arrivare alle commistioni politiche
durante il sequestro Moro, i legami ufficiosi con la mafia e la faida contro
“i pesciaroli”, i nemici di sempre,
quelli che dovevano essere “parcheggiati”. Non un film di regia
quello di Costantini, ma di emozioni,
nausee e ricostruzioni storico-giornalistiche dal
fascino innegabile: macchina da presa immobile, attori in stato di grazia,
dialoghi ruvidi che colpiscono in pieno il bersaglio, approccio a metà tra il
neorealismo e Pasolini,
con gli attori del corso di recitazione del carcere di Rebibbia
che rimpolpano il cast già protagonista della piece teatrale. Un documento irrinunciabile e indispensabile, che nel formato dvd acquista ancora più valore, grazie all’intervista
di Giovanni Bianconi, giornalista e
scrittore, autore del libro Ragazzi di
malavita. Fatti e misfatti
della banda della Magliana.
Avvicinarsi alla visione con l’obbiettivo di
paragonarlo a Romanzo Criminale di Placido quindi, vorrebbe dire commettere
il più grave tra gli errori critici possibili. La pellicola tratta
dall’opera di De Cataldo infatti, si muove suoi sentieri della fiction
cinematografica, si accosta alla veridicità dei fatti solo in parte, sfruttando
il classico espediente della vicenda vista dalla parte dei criminali,
un’operazione volta più ad intrattenere che ad informare. Lo scopo di Costantini
invece, è un altro: raccontare, attraverso la voce narrante dei suoi fondatori,
l’apogeo e il declino dell’organizzazione, senza però scendere a
compromessi con lo stile classico della narrazione o della riproduzione
cinematografica. Mettere in scena la nuda verità, senza divi,
volti noti e antieroi di celluloide, una realtà grezza, violenta e sboccata
proprio come chi l’ha vissuta. Così facendo, Costantini apre una finestra su
un pezzo della nostra storia rimasto per troppo tempo imbrigliato
nell’omertà e nelle leggende di borgata.
Ecco perché, l’importanza di tale documento è paragonabile alle indagini
fatte sul Mostro di Firenze o sulla Banda della uno
bianca, proiettarlo nelle scuole sarebbe non solo formativo, ma praticamente
obbligatorio.
(31/07/06)