FLIGHTPLAN

REGIA: Robert Schwentke
CAST: Jodie Foster, Peter Sarsgaard, Sean Bean
SCENEGGIATURA: Peter A. Dowling, Billy Ray
ANNO: 2005


A cura di Pierre Hombrebueno


ECHI HITCHCOCKIANI

Robert Schwentke, a quanto pare, non è affatto il primo pirla pescato per strada. Dimostra infatti di conoscere molto bene Mastro Hitchcock (confrontare la trama di Flightplan con quella di The lady vanishes per favore), da cui trae le giuste lezioni per confezionarci questo thriller ad alta quota, che fortunatamente, si discosta molto da quell’altra opera aeroplanistica di serie Z che sta attualmente attraversando le sale col marchio Craven.
Flightplan si potrebbe tranquillamente dividere in due parti eque: Il pre-mistero, e il dopo-mistero. La sorpresa è infatti dilatata e gestita solamente per il primo tempo del film, mentre nel secondo, allo svelamento dell’arcano, Schwentke sceglie la via dell’action claustrofobico.
La parte migliore è giustamente la prima, che non è un “dove diavolo è finita la bambina?”, ma una vera analisi intropsicologica della mente (malata?) di una donna sull’orlo di una crisi d’esistenza a causa della perdita recente del marito, perdita che vedremo racchiusa in un incubo da allucinazione nell’incipit, dove la macchina da presa scivola lentamente sul dolore e lo shock, scombinando il tempo con flash back e forward continui.
In questo senso, diventa essenziale per il mistero il “colloquio” tra Jodie Foster e una psicologa, un dialogo che racchiude in sé la pista meta-umana della ricerca, non necessariamente della bambina scomparsa(?), ma della lucidità morta e trucidata di fronte ai drammi umani.
In Flightplan c’è quindi una lotta continua tra il razionale e l’irrazionale, e il regista riesce a sfruttare al massimo il plot (già di per sé interessante) senza mettere un minimo di suspense ma giocando tutto sulla sorpresa e l’ambiguità, perché necessariamente arriviamo a guardare la narrazione sotto gli occhi della protagonista, visione filtrata però da una superiorità oggettiva ma mai onnisciente, in quanto noi ne sappiamo esattamente quanto lei, e mai potrebbe venire quel fastidio involuto del cercare d’improvvisarsi guide nella storia.
E’ una sorpresa preparata con un climax ascendente di inspiegabili avvenimenti sempre più forti: dalla scomparsa scopriamo della presunta pazzia, dalla presunta pazzia al presunto rapimento, dal presunto rapimento alla presunta morte, fino alla bomba finale dove i nodi verranno sciolti per dare spazio alle sue immediate conseguenze: il dolore mentale/spirituale si tramuta in dolore fisico, tradotto dal virtuosismo di una macchina da presa che dimostra di saper sfruttare bene lo spazio filmico dell’aeroplano, che nonostante i suoi confini limitatissimi, viene trasformato dalle inquadrature in un vero labirinto dove si può facilmente cadere in trappola.
Sappiamo già esattamente come finirà, ma gli occhi non possono non godere della completa elasticità della mano registica di Schwentke, che riesce così a tenere l’adrenalina alta fino all’ultimo fotogramma, grazie anche a quel miracolo di Jodie Foster, ancora una volta intrappolata tra 4 muri proprio come in Panic Room, questa volta tra i cancelli dell’incubo fattosi astratto-concreto-spirituale-mentale-fisica nello stesso tempo.
Sembra incredibile ma si ritorna per terra, chiaramente con le dovute imperfezioni (soprattutto di sceneggiatura), ma Schwentke ci soddisfa per la sua capacità di gestire uno spazio e un ritmo così calcolato e pulito, che ci ricorda, anche se limitatamente, quell’ombra che mai svanirà e da cui tutti trarranno sempre lezioni sul e per il Cinema, quel grande grandissimo Alfred Hitchcock.

 

(16/11/05)

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