FREAKS
REGIA: Tod Browning
SCENEGGIATURA: Todd Robins
CAST: Wallas Ford, Leila Hyams, Olga Baclanova
ANNO: 1932
A cura di Sandro Lozzi
“MASCHERE, CHE
PASSIONE!”: PER UNA NUOVA LETTURA DI FREAKS
Quale film?
Sarebbe (comp)le)ta(l)mente
inutile, seppure faccia sempre bene tenerlo a mente, tornare per
l’ennesima volta su quanto ormai tutti conoscono della pellicola
maledetta di Tod Browning. Da tre quarti di secolo non
si fa che parlarne e sempre (il quasi è d’obbligo) nelle stesse
dimensioni e dalla stessa angolatura: i veri mostri sono i
“normali” (le virgolette sono più d’obbligo del quasi di
prima, come se bastasse un paio di virgolette per poter parlare di cinema senza
dire fesserie; se non metti le virgolette sei un “normale” anche
tu) ormai fa parte della nostra cultura più della morale della volpe e
l’uva, e non bisogna giudicare solo dall’apparenza, e le accuse
contro chi si approfitta dei più deboli, e Browning
nel circo ci aveva lavorato e vissuto davvero, ed è una pellicola cult, e i
problemi con la censura, ecceteraeccetera…
Tutte queste cose si trovano in qualsiasi rivista (online,
cartacea o quant’altro, buona o pessima che
sia) dedicata al cinema fantastico (paradossalmente, ma ci tornerò tra qualche
riga), e poco ci vorrebbe a scrivere l’ennesima recensione anche senza
bisogno di vedere il film.
Ma non è intenzione di chi scrive proporre una (l’ennesima) recensione.
Trovo interessante piuttosto pormi un interrogativo, che dovrebbe condurci su
una strada forse non inesplorata, ma di certo meno battuta.
Perché Tod Browning ha scelto di realizzare quel
film?
Si badi che il peso della domanda cade su “quel”, e non sul
“perché”. La maggior parte dei perché sono sintetizzati proprio in
quei concetti che ho brevemente richiamato poco sopra. Voglio dire, Freaks non è
certo il primo né l’ultimo film (e non solo film) a trattare di freak, e
la stessa filmografia di Browning è
colma di opere sui “diversi”. Cosa spinge allora Browning ad affrontare ancora una volta,
e come non mai direttamente, la questione dei freak (freak si può scrivere
senza le virgolette, è entrato nel lessico comune, forse per evitare di dover
mimare le virgolette quando si parla) attraverso un’opera di tale portata
e di tale impatto?
Quale genere?
Per provare a rispondere, bisogna forse cominciare a schiarirsi le idee su cosa
effettivamente sia questo film in quanto prodotto cinematografico. Che film è Freaks?
Tanto per cominciare, appartiene a qualche genere? Nel secondo paragrafo
trovavo paradossale il fatto che di Freaks si parli in qualsiasi rivista dedicata al cinema
fantastico. Perché i cultori del cinema fantastico (horror, più in particolare)
tengono tanto in considerazione un film come questo? Freaks è un film dell’orrore?
Seppure io stesso l’abbia considerato tale per molti anni, sarei ora come
ora portato a dire decisamente di no. Direi anzi che
non c’è nulla di più distante dal cinema dell’orrore: tutta la
potenza di Freaks,
la linfa che dà vita al suo lato più che riuscitamente
perturbante, sta nel bieco e spietato realismo della messa in scena. Non
c’è volontà di suscitare reazioni di paura e/o di te(o)rrore, né di disgusto, anzi semmai l’opposto, il film
si propone di mostrarci il lato buono (qualcuno direbbe “umano”,
come se i freak non lo fossero) di una categoria che ci appare (e sottolineo
appare) riprovevole, malvagia, opera del demonio, e quant’altro,
andando sempre più indietro negli stereotipi e superstizioni socio-popolari; il
disgusto invece viene indirizzato verso i normali (gli “umani”),
verso chi è più agiato e all’apparenza (sottolineo apparenza) sembra pi
buono, più affidabile, e chissà che altro. Come in ogni critica sociale che si
rispetti, insomma. Potrebbe essere un melodramma? Beh, la suddivisione dei
personaggi in buoni e cattivi è ben netta, le tinte forti ci sono così come una
trama romanzesca. Quello che però mi porta a rispondere di no anche a questa
domanda è il fatto che non è ai colpi di scena o ai risvolti drammatici che Browning affida il suo discorso, ma
piuttosto ad una serie di sequenze che non fanno altro che mostrare: mostrare
la vita del circo, la vita dei freak, senza romanzare, senza narrare,
abbassando quasi a zero il livello di scrittura. È attraverso il realismo di
sequenze come quelle che mostrano i fenomeni (da baraccone) vivere e provare i
loro numeri nell’accampamento, o giocare su un terreno ignorando che sia
proprietà privata, che viene fuori il senso dell’opera. Browning coglie e filma la realtà (la
vita), non sul fatto ma mettendola in posa. Non Vertov, ma Flaherty. A questo punto,
essendomi lasciato sfuggire questi due nomi (ma anche attraverso le
osservazioni precedenti), ho già risposto alla domanda sul genere della
pellicola: se proprio si volesse infilare
Freaks in una cartellina per raccoglierlo in uno
schedario diviso per generi, il suo contenitore più corretto sarebbe quello
dedicato al cinema documentario.
Da dove a dove?
Certo, quella di Freaks
come documentario è una classificazione da prendere con le molle. Non tutto il
film è costruito come un documentario, e basta vedere il finale lungo (quello
in cui Hans e Frieda si riappacificano) per capirlo,
e per accorgersi che in realtà una vicenda, una trama, un aspetto di fiction
che lega il tutto c’è eccome. La storia (romanzatissima
peraltro) di Hans e Cleopatra, tra boccette di
veleno, ricche eredità, baci appassionati – tra Cleopatra ed Ercole, ma
anche tra Venus e Phroso
– coltellini a scatto e pistole, si dimena tra il melodramma (nello
svolgimento) e il noir (nell’azione vendicativa finale dei freak, di
notte e sotto il diluvio, armati fino ai denti e persino vestiti da gangster),
ma il suo scopo è appunto di fare da collante, di tenere insieme il tutto. La
storia potrebbe essere una qualunque, non è determinante, e infatti Browning la relega agli spazi chiusi: la
vicenda inizia dietro le quinte nel tendone del circo, si sviluppa negli
stretti (sempre più angusti quanto più aumenta la tensione) baracconi dei
circensi, e si conclude (in bellezza) in una sfarzosa e vastissima residenza
(un castello, o una villa), quella in cui Hans vive
nascosto dal mondo dopo tutta la vergogna provata.
L’unica sequenza “romanzata” che si svolge all’aperto
(sempre nell’accampamento circense) è quella del matrimonio tra Hans e Cleopatra. È evidente che viene messa in risalto
poiché si tratta della sequenza principale del film, oltre che della più
riuscita. Una delle sequenze più forti dell’intera storia del cinema, un
climax di tensione che esplode facendosi insopportabile nel grido d’odio
e di disgusto di Cleopatra verso i “(dirty, slimy) Mostri!”. La leggerezza che pervade il film
qui tradisce la sua ipocrisia rivelando dialetticamente
tutti i personaggi per quello che sono: così Cleopatra ride e si diverte
esattamente come ride e si diverte Schlitze (e le due
sono riprese allo stesso modo), ma a ridere per ultima è proprio Schlitze, divertitissima nella
sua genuina ingenuità anche dalla reazione rabbiosa di Cleopatra; così Hans si rende finalmente conto di essere stato preso in
giro per tutto il tempo, e a lui viene contrapposta la rassegnazione di Frieda,
unica ad aver saputo e capito tutto dall’inizio al contrario di Hans, ottuso fino alla fine; così Ercole alla fine suona e
balla esattamente come stavano facendo Angeleno e gli
altri freak fino a pochi attimi prima.
Perché?
Dunque, tornando al quesito iniziale, perché Browning si ingegna tanto per mettere insieme un documentario sul
circo, sui trucchi (sia nel senso di espedienti scenici che di make-up), su
delle maschere senza volti, un’esplorazione del corpo, in tutte le sue
(de)forme, di corpi che vivono nascosti e sopravvivono esclusivamente sulla
propria immagine, su una realtà tanto chiusa ed esibita solo a tratti (e
– appunto – attraverso maschere, trucchi e finzioni) da risultare,
dall’esterno, intollerabile?
La risposta (o una risposta) sta forse nei dieci film diretti da Browning e interpretati dal suo attore
feticcio, Lon Chaney Sr.,
dal 1919 al 1929. Rinviando, per un discorso più approfondito (oltre che per
evidente capacità di analisi), a Ghezzi E., “Il trucco e il corpo (appunti da Lon Chaney e Tod Browning)”
(Filmcritica 276, 1977; raccolto anche in: Paura e desiderio, Bompiani,
Milano 2000), mi limito qui a ricordare che la straordinarietà di questa felice
collaborazione stette nella capacità di entrambi di sviluppare la propria
poetica appoggiandosi sull’apporto dell’altro: se quella di Browning si fonda sulla verosimiglianza
dello straordinario, dello strano, del bizzarro, Chaney invece in quanto attore sviluppa
una poetica della fisicità, del corpo, sfruttando le capacità illusorie del
cinema e quelle del trucco. Così, mentre di volta in volta Chaney torturava e deformava il
proprio corpo amputandosi o menomandosi come richiesto dal personaggio
interpretato, Browning perfezionava
il (suo) cinema rendendo verosimile il continuo mutare di un corpo.
Freaks in
effetti fa della verosimiglianza e della normalizzazione di una realtà bizzarra
e intollerabile (fatta di decine di corpi deform(at)i
senza un volto unico) la propria natura. Sembrerebbe proprio il risultato di
questo incrocio di poetiche, portato alle estreme conseguenze nel momento in
cui venisse a mancare il corpo-(unico e plurimo)-Chaney.
Lon Chaney Sr.
muore nel 1930, e chissà che Freaks non sia
l’omaggio che Browning rende a
un fidato amico e collaboratore, ad una persona con cui si era creata una
perfetta sintonia.
Nello stesso articolo, Ghezzi
ci ricorda anche che: «Alla fine di Freaks, dopo un lungo racconto-parata di veri
“mostri”, i più “veri” (senza bisogno di Chaney), si ha il
trucco preparato già anni prima da Browning
con Chaney:
quello della donna trasformata in gallina. La stessa Baclanova lì diventa Chaney, è
veramente la donna-gallina, o meglio, dopo tale sequela di abnormità
per un attimo di fronte a questa creatura “impossibile” abbiamo la
sensazione del normale […]. Uno di quei brevi attimi sufficienti a
illustrare per sempre e ancora la vera ambiguità del cinema. Chiara in un
cinema come quello di Browning e Chaney che la
combatte per rafforzarla, un cinema […] in cui una falsa donna-gallina è
meno incredibile di un uomo-torso che si accende la sigaretta».
Freaks
potrebbe dunque essere l’estremo saluto di Browning a Lon Chaney, un
documentario sul lavoro dell’attore e sulla loro collaborazione, una
parata di tutte le maschere e i trucchi che Chaney ha indossato
nell’arco della carriera, reali (e realistici) perché i travestimenti di Chaney non erano
solo scherzi e boutade da circo(lo), ma incarnazioni di quella verità che è il
cinema.
(27/11/06)