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GACHI BOY – WRESTLING WITH A MEMORY

REGIA: Norihiro Koizumi
SCENEGGIATURA: Nishida Seji
CAST: Sato Ryuta, Saeko, Osamu Mukai
ANNO: 2008


A cura di Tommaso Barbetta

FAR EAST FILM FESTIVAL 08':
"QUALCUNO SI RICORDA PERCHE' SONO SALITO SU QUESTO RING?"


Partiamo dal presupposto che la seguente analisi del film Gachi Boy è stata formulata in 10 minuti e che non è vincolata da alcuna articolazione logica.
Punto primo. Gachi Boy non è una commedia sportiva sul wrestling; è un dramma travestito da film di intrattenimento. Dunque se siete in cerca di una sana risata senza alcun retrogusto amaro avete sbagliato film, perché dopo la sua visione, più ripenserete a Gachi Boy e più vi arriverà quella vocina incessante a sussurrarvi quanto insignificante sia la vostra vita. A meno che ovviamente non abbiate il coraggio di leggere interamente questo articolo, al termine della quale si scopre il messaggio positivo e ottimista del film (oltre ovviamente al senso stesso dell’esistenza).

Il dramma dell’opera sta nella perpetua rappresentazione del doppio, che pervade e consente di rileggere ogni singola scena e perfino ogni singolo fotogramma della pellicola. Guardando Gachi Boy per la prima volta, si ride; alla seconda visione invece (o anche al solo ripensare al film) la mente non può che inevitabilmente incupirsi ed intristirsi. Secondo il regista Norihiro Koizumi, un calcio nelle natiche può essere recepito in due modi diversi: si può ridere a più non posso vedendo qualcuno che lo subisce, o si può soffocare dal dolore quando a subirlo sei proprio tu. E’ pura commedia vedere il protagonista Igarashi che scatta le foto ai suoi compagni, scrivendo appunti sul suo fedelissimo diario ed annotando ogni singolo particolare. Ma una volta che viene svelato il mistero del film, snodo centrale dell’intero intreccio, citazione di Memento (anche se nell’opera di Nolan si viene quasi subito a sapere dei problemi legati all’amnesia del protagonista), è molto difficile frenare lo sconforto. A metà della visione, siamo tutti obbligati a ripescare e rivalutare nella nostra memoria le prime scene in cui il protagonista mostrava difficoltà nell’apprendere le tecniche del wrestling: irrimediabilmente, siamo passati dalla commedia alla tragedia, perfetto esempio dell’umorismo pirandelliano o anche fantozziano, in cui la rielaborazione del comico passa attraverso la pena generatasi nelle nostre menti. In Gachi Boy il ricordo genera pietà e la pietà spinge lo spettatore ad assumere un nuovo punto di vista. Un po’ come in The Detective di Oxide Pang (per rimanere in territorio FEFF), dove la soluzione dell’enigma sta nel riflesso di una fotografia, anche Gachi Boy ci nutre fin dall’inizio di indizi più o meno rilevanti riguardo lo stato mentale del protagonista. Solo che in questo film il mistero non viene risolto da un fantasma, ma dal dramma quotidiano che ha investito il nostro eroe a seguito di un incidente, il quale viene solamente accennato da un flashback di pochi secondi, in quel plongè della bicicletta sdraiata a terra sotto la pioggia. La ruota continua a girare e la vita di Igarashi continua a scorrere. Ma la sua mente, la bicicletta, è fuori uso. E’ invece la nostra, di mente, che serve a Koizumi per ricostruire l’incidente, che è l’osceno del film (nel senso originario del termine “ciò che è fuori dalla scena”), il male da cui dipende ogni tragica conseguenza. L’incidente è la sfortuna a tutti comuni, quell’evento a cui non vorresti mai ripensare (per questo è osceno).

Lavorando attraverso indizi e sottointesi, viene messo in scena un dramma fatto di sequenze semplici, che evitano di affossare lo spettatore nella troppo spesso esagerata enfasi tipica dei film di questo genere. Il tutto è possibile grazie a una regia pulitissima, che non suona mai ridondante, il cui unico scopo è raccontare una storia nella maniera più genuina possibile. Viene così spiegato il rifiuto di usare effetti speciali e perfino l’abolizione delle controfigure nei combattimenti: tutto deve sembrare naturale e spontaneo, affinché si crei quell’empatia necessaria per trasportare il pubblico dentro lo schermo, esattamente e direttamente sotto quel ring, applaudendo con euforia le gesta del protagonista, prima ancora che la bellezza dell’opera o la bravura del regista.
Gachi Boy è un film sull’inconsistenza della vita umana: che senso ha ridere oggi, quando sai che domani piangerai? Che senso ha vivere oggi, quando sai che domani morirai?
La soluzione di Igarashi è la stessa che 2800 anni fa cercavano di raggiungere Omero e gli aedi dell’antica Grecia: lasciare un segno indelebile che possa superare i vincoli della memoria umana. Il suo corpo si segna, si taglia, si riempie di lividi che testimoniano il proprio passato. Si scontra per lottare e vincere, ma soprattutto per essere ricordato da qualcuno che ne abbia ancora la capacità.

 

(02/05/08)

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