GOODNIGHT, AND GOODLUCK
REGIA: George Clooney
CAST: David Strathairn, Jeff Daniels, Robert Downey jr.
SCENEGGIATURA: George Clooney, Grant Heslov
ANNO: 2005
A cura di Luca Lombardini
FUORI I ROSSI DA HOLLYWOOD!
Quando una giovane band raggiunge il successo con il suo primo album,
produttori, fan e critici musicali, iniziano a pensare a come potrà essere la
seconda prova del gruppo. Nell’ambiente discografico infatti,
il secondo disco viene considerato come il più difficile di tutti, perché deve
confermare le potenzialità espresse nell’esordio, ma allo stesso tempo
deve lasciare intravedere segnali di evoluzione e maturazione di un sound, che
altrimenti rischia di diventare troppo ripetitivo.
Fatte le dovute proporzioni, prima di iniziare a lavorare al suo secondo film
da regista, Clooney deve
aver fatto più o meno lo stesso ragionamento, e per stupire coloro i quali
erano rimasti profondamente colpiti dalla sua opera prima, l’attore-
regista ha scelto la strada sicuramente più impervia e irta di ostacoli: quella
del ritorno al passato.
Good Night, and Good luck è una dichiarazione d’amore alla
Hollywood che fu, e allo stesso tempo una preghiera a quella che
dovrebbe tornare ad essere. In novanta minuti, Clooney
ricontestualizza la struttura
classica dei Kazan e dei Lumet
degli anni 50’ e 60ì, facendo innamorare lo sguardo dello spettatore con
una serie di piani sequenza commoventi, uniti all’overlapping
dialogue e agli zoom anni ’70, che ricordano le
prove più ispirate di Altman e Scorsese.
Qui c’è una preparazione e una cura per i dettagli che lascia senza
fiato, dove un tema così delicato (l’ultima caccia alle streghe
contemporanea), viene trattato con una lucidità e una classe che non
banalizzano l’evolversi degli eventi neanche per un nanosecondo.
Diciamoci la verità: sarebbe stato semplice per il regista fare un film
americano e propagandistico, dove la metafora del comunismo visto come serpe in
seno alla nazione, poteva essere tranquillamente affiancata allo spauracchio
del terrorismo islamico. Clooney invece sceglie la
via più sottile, scrutando la vicenda dietro le rotonde lenti dei giornalisti,
quelli che la libertà, soprattutto quella di stampa, la difendono quasi
quotidianamente, dimostrando di amare la sua nazione e la democrazia più di
molti faccioni che si posano dietro i cesti dei microfoni. Good
night, and Good Luck sembra
un film sceneggiato da Ellroy ( uno che sulla caccia
ai rossi ha scritto pagine memorabili) e supervisionato dal miglior Wilder, dove i fruscii e i rumori di
fondo dello studio televisivo, coprono, insieme alla messa in onda degli
approfondimenti, le voci dei protagonisti, facendo si che il cinema si fonda
con la televisione e le sue tecnologie fatte di cavi, spie luminose, e servizi
sul piccolo schermo. Non c’è mai un esterno giorno o un
esterno notte nella seconda fatica del regista, ma soprattutto non si
capisce quasi mai dove inizi il giorno e finisca la notte; come a volerci
dimostrare che il lavoro del reporter, quello vero che vive per la notizia, non
ha orari e le sue giornate durano ben più delle nostre ventiquattro ore. La claustrofobia
degli studi televisivi viene evidenziata al meglio
dalla sublime fotografia in bianco e nero, che riporta alla mente il gusto per
gli interni dei vecchi film di Cukor. Asserragliati
negli uffici della CBS e nel bar all’angolo, che fa da sfondo alla scena
più bella del film (la redazione che si riunisce in
attesa delle prime edizioni dei giornali), i volti dei personaggi vengono
braccati dalla cinepresa, che sottolinea con manovre minimaliste i dialoghi
serrati, le sorsate di caffè e il fumo bianco neve delle sigarette. In questo suggestivo panorama “vecchia Hollywood” si
staglia in tutta la sua sublime bellezza la figura di David Strathairn,
perfetta maschera da cronista old school, uno di
quelli che punta la preda, ne scopre i punti deboli, e poi l’attacca,
guardandola cadere insieme al castello di bugie e di soprusi legali che era
stato in grado di costruire. Nei suoi lineamenti scarni
e nel suo amore per il giornalismo onesto e libero da compromessi politici,
c’è tutta la magia per una professione che sembra ormai persa nel
guazzabuglio di imbrattacarte moderne. Clooney lo
capisce e da persona intelligente si fa da parte, scegliendo per se un ruolo
secondario, limitandosi, quando è il momento di andare in onda, a pungolare il
ginocchio di Murrow con la stilografica.
Good Night conferma i sospetti emersi dopo la visione
di Confessioni di una mente pericolosa, quando il nostro amante del lago di
Como lasciava già intravedere il rapporto ambiguo con il tubo catodico:
finestra sul mondo, sottofondo casalingo, ma anche armadio colmo di scheletri,
dove l’inventore del format La Corrida passa il
suo tempo libero ad indagare per i servizi segreti e gli esponenti del
giornalismo americano più puro e tradizionale ingegnano il piano che condurrà a
sfilare da sotto i piedi del senatore McCarthy il suo
“democratico” tappeto delle Commissioni per le attività
antiamericane.
Il monologo finale, dal pulpito delle premiazioni, introdotto dal blues di
sottofondo e dall’ennesima sigaretta di Murrow,
è semplicemente straordinario. Perché parole come :
“la televisione deve anche istruire e illuminare, altrimenti sono fili e
luci in una scatola” andrebbero affisse a caratteri cubitali negli
ingressi degli studi di chi, in Italia, pretende di saper fare
dell’informazione e della presunta tv verità, proponendo invece un flusso
di banalità incollate al rincorrersi degli spot pubblicitari.
Non c’è che dire, Clooney ha superato l’esame più difficile: quello
del secondo lavoro, dove devi confermare, ma allo stesso tempo anche stupire.
Buona Notte, e Buona Fortuna.
(03/10/05)