IL GRANDE CAPO
REGIA: Lars Von Trier
SCENEGGIATURA: Lars Von Trier
CAST: Jens Albinus, Peter Gantzler, Benedikt Erlingsson
ANNO: 2006
A cura di Sandro Lozzi
LA SESTA VARIAZIONE. MAI FIDARSI
DI UN DANESE, SPECIE SE GENIALE E DISPETTOSO
Chi è Il Grande Capo?
Sì, lo so che è banale iniziare un articolo in questa maniera, ma lasciamo
perdere per un po' i clichè (oppure non parliamo di Von Trier) e diciamo subito che, sì, non ci sono grossi dubbi sulla
(non-)identità della figura che dà il titolo alla pellicola. A seconda dei vari
punti di vista, possono infatti essere considerati di volta in volta Grande
Capo: Ravn, il vero (piccolo) capo nonché inventore-creatore-demiurgo del
Grande Capo; l'attore Kristoffer, fisicizzazione (parziale, ci torno fra un
momento) dell'entità grande capo e accettato (in quanto) tale da tutti (tutti i
protagonisti, quelli che non lo sono, il "mondo esterno", non
contano, poiché il film è un mondo chiuso come l'ufficio in cui si svolge gran
parte della vicenda, ci tornerò più giù) fuorché quattro persone/aggi (Ravn,
Kristoffer, la sua ex moglie, e un quarto che dirò tra poco); l'entità che
potremmo chiamare C, ossia la costruzione fittizia architettata da Ravn prima e
da Kristoffer poi (che personifica l'idea di Ravn solo fino a quando non genera
la sua, per questo parlavo di fisicizzazione parziale), una sorta di vaso
(aperto) di Pandora da cui penzolano i tragici fili del destino dei personaggi;
il quarto personaggio che sa che Kristoffer non è il grande capo.
Quest'ultima è forse la risposta più "giusta" alla domanda, e del
resto tale risposta è contenuta già nella locandina del film. Il poster
ufficiale ci mostra infatti uno di fronte all'altro due uomini, in abiti neri
stilizzati, uno di statura normale e un gigante alto più del doppio (o
viceversa, ma preferisco questa lettura, anche perché l'uomo gigantesco non
riesce neanche a stare tutto nello spazio della locandina, una piccola parte
della testa è tagliata dal bordo superiore). L'uomo normale è Kristoffer (Jens Albinus), mentre il gigante, il
vero - ed unico - grande capo, altri non è che lo stesso Lars Von Trier. La concusione è fin troppo semplice, e infatti è la
voce narrante dello stesso regista ad aprire il film presentandolo come una
commedia e in quanto tale "innocua", senza troppe riflessioni,
introspezioni psicologiche, senza troppi fronzoli mentali insomma. Von Trier è un personaggio del film a
tutti gli effetti, vi si introduce anche fisicamente (seppure solo di
riflesso), è lui il quarto personaggio a sapere chi è (e chi non è) Kristoffer,
e soprattutto è lui il personaggio principale, quello indicato dal titolo,
dalla locandina, è lui il divo, è il suo personaggio che si assume le
responsabilità (come dice espressamente prima di presentare un nuovo
personaggio) al contrario di quanto facciano tutti gli altri, è lui che
controlla tutto e che vede tutto, dall'esterno e anche dall'interno. Lui è il
grande C. D'altronde tra la parola Direktøren (del titolo originale) e la
parola Direktør (regista, sempre in danese), differenza praticamente non c'è.
Ed è in quest'ottica che assume senso la scelta di un mezzo, tanto -
inutilmente - discusso, come l'Automavision. Non ha alcun senso stare a
discutere sulle implicazioni estetiche che un mezzo come l'Automavision possa
portarsi dietro, poiché questo computer, che decide da solo come e dove muovere
la macchina da presa e staccare in maniera più o meno casuale su una serie di
possibili varianti, è appunto solo un mezzo, è un modo come altri di fare le
riprese. E ugualmente non bisogna - di nuovo! - dar peso alle parole del
regista, che si preoccupa sempre di rilasciare dichiarazioni importanti prima
dell'uscita della pellicola, anzi si possono tranquillamente considerare le sue
parole come un paradosso (tipicamente vontrieriano) su quello che in realtà ci
vuol dire davvero. Quando il dispettoso
Lars dice che "[l'Automavision] mi ha permesso per la prima volta in
vita mia di abbandonare l'ossessivo controllo di tutto, aspetto che ha sempre
caratterizzato i miei film. Con l'Automavision non ero io a tenere il
controllo, ma il computer", è chiaro che sta pensando l'esatto opposto: se
un autore ossessionato dal controllo come Von
Trier decide di affidare la fase di riprese a un computer, è palese che non
è in quella fase che vede il controllo sull'opera. Sta dicendo che il regista
di un film non è chi (come viene caricaturato nello splendido Vecchia America di Peter Bogdanovich) si
limita a scegliere dove piazzare la mdp e a dire "Taglia!". Sta
dicendo che l'Automavision non è altro che la necessità di un controllo sempre
più totale. Da parte dell'autore, e solo di lui.
Le riprese fornite dall'automa sono solo la materia prima, che verrà gestita
(controllata) dal regista sia in termini quantitativi (girando tanti ciak,
anche con diverse intenzioni attoriali nella stessa scena, in modo da avere
materiale a sufficienza) che in termini qualitativi, attraverso il montaggio.
L'automa è solo l'undicesima regola Dogma. La sesta variazione.
Bisogna trascurarlo, e guardare alla vera essenza del film.
Per cominciare a farlo, prendiamo brevemente in esame la gestione dell'elemento
spaziale all'interno dell'opera.
Nelle prime righe di questo scritto, accennavo a come gran parte della vicenda
sia ambientata all'interno della sede dell'azienda di Ravn. Il film si basa, da
quest'ottica, su una dialettica tra dentro e fuori abbastanza classica e molto
marcata. Per notarlo, prendiamo ad esempio tutte le sequenze ambientate fuori
dagli uffici di Ravn e soci.
Fatta eccezione per due sequenze, le pochissime scene ambientate all'esterno
vedono protagonisti solo quei quattro personaggi di cui abbiamo già detto,
quelli che sanno che Kristoffer è un attore. Kristoffer, Ravn, Kisser, Lars.
Sono i soli quattro a sapere che quella a cui stiamo assistendo è una messa in
scena. All'interno dell'azienda stanno gli spettatori, coloro che alla
messinscena devono assistere. Ravn e Kristoffer, per discutere della
messinscena, della rappresentazione, dicono di incontrarsi "in terreno
neutro", e ogni volta è un luogo diverso, ma sempre ovviamente fuori dagli
uffici: l'esterno dell'azienda è tutto un dietro le quinte, è il luogo dove gli
attori si preparano ad andare in scena. Kristoffer ci si incontra anche con
l'ex moglie, sempre per prendere decisioni importanti sulla parte che sta
interpretando, ma con l'ex moglie si incontra la prima volta dentro il suo
ufficio.
Ed è sempre nell'ufficio del grande capo che questi ascolta le aspettative che
gli spettatori hanno su di lui, le varie idee che i sei anziani si sono fatti
nel corso degli anni e delle email, si confronta con ognuno di loro e porta
avanti i rapporti in maniera distinta per ognuno dei sei. Se l'esterno è
"terreno neutro", la stanza del grande capo è una specie di
confessionale (curioso che Von Trier
stesso parli di "una specie di Grande Fratello", a proposito del film
e dell'Automavision). Del resto lo dice proprio Kristoffer la prima volta che
ci mette piede: "Un ufficio è un luogo più sicuro di un corridoio".
Abbiamo accennato a due eccezioni alla regola per cui all'esterno si incontrino
e agiscano solo i quattro "consapevoli". Una è sul soffitto del
palazzo, quando Kristoffer va a parlare con Spencer. I due, complici la birra,
l'atmosfera e soprattutto la difficoltà con la lingua, finiscono per stare
entrambi in silenzio ad osservare il paesaggio e a godersi un attimo di relax.
L'attore si lascia addirittura sfuggire quasi una confessione sul suo ruolo
("Eccola, la città senza camini!"), per colpa della forza intimistica
del paesaggio - armonioso seppure metropolitano - in cui i due si trovano a
condividere un momento di pace interiore. Quando non ci si attacca alle parole,
e si è liberi di lasciarsi andare al piacere della vista di qualcosa di bello e
armonioso, ecco che il cinema funziona, ecco che autore e fruitore (o
spettatore) sono in pace l'uno con l'altro. L'altra eccezione riguarda la
sequenza della gita-premio, organizzata da Kristoffer/Svend per cominciare ad
accaparrarsi le simpatie dei sei anziani. Il perché in fondo l'ho appena detto:
una volta ribaltata la propria posizione, Kristoffer deve inventarsi qualcosa,
tentare il tutto per tutto per far sì che il pubblico gli conceda la
possibilità di esibirsi nelle migliori condizioni. L'attore deve accaparrarsi
la simpatia degli spettatori, e per farlo li trascina con sé nel suo mondo,
come portarli dietro le quinte a fargli vedere il backstage. Li mette sullo
stesso piano di Ravn, che a questo punto non controlla più Kristoffer (non
bastano i pezzi di carta) e non sa più determinare con certezza le azioni che
l'attore compierà sulla scena.
Il resto, è gran finale.
E aldilà di tutto questo, Il grande capo
è una commedia dura quanto spassosa, spietata e intrigante, dissacrante ed
inarrestabile, col ritmo delle migliori commedie classiche e un'ironia algida
tipicamente nordica.
Bisogna saperlo cogliere Von Trier,
proprio come il personaggio del grande capo islandese.
Come a dire: "Chi mi ama mi segua. Chi no, può andare tranquillamente a
farsi fottere" (non è molto diverso dalla frase con cui la voce di Lars chiude il film: "Vorrei
scusarmi sia con quelli che volevano di più che con quelli che volevano di
meno. Quelli che hanno avuto ciò per cui sono venuti, se lo sono meritato").
Idiotamente vietato ai minori di 14 anni a causa di un rapporto sessuale tra
due dei protagonisti, completamente vestiti, in una delle sequenze più
esilaranti del film. Vi risparmio il predicozzo su quanto la televisione sappia
essere infinitamente più deleteria.
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