GRIND HOUSE – A PROVA DI MORTE
REGIA: Quentin Tarantino
SCENEGGIATURA: Quentin Tarantino
CAST: Kurt Russell, Rosario
Dawson, Sydney Tamiia Poitier
ANNO: 2007
A cura di Luca Lombardini
QUANDO LA IENA SI MORDE LA CODA
Che il progetto Grind House, e in particolare
l’episodio diretto da Quentin Tarantino, non fosse considerato un capolavoro, lo si era capito da tempo. Magri incassi registrati dai
patri botteghini, critiche sferzanti provenienti da oltreoceano e accuse di infantilismo registico, non
facevano presagire il meglio. Ma come ogni tanto accade, la realtà è ancora più
brutta di quanto la si possa immaginare. Provare
soltanto a concepire un prodotto di così basso livello è
impresa assai ardua, un autogol che ha dell’incredibile,
soprattutto perché porta la firma di uno dei registi più acclamati del pianeta.
Death Proof non
possiede nulla: non ha storia, non ha sceneggiatura, non ha regia; per dirla
come il ragioniere più famoso d’Italia <<una cagata
pazzesca!>>. A Prova di Morte è
il riflesso su celluloide delle passioni cinefile di
un bambino mai cresciuto, ancora intrappolato tra gli scaffali dell’amata
videoteca e il ricordo dei cinema di periferia.
L’ultima
fatica di Tarantino
è un porno camuffato da thriller su strada, fotografato con la tecnica del B
movie d’annata. Un ammasso di donnine scosciate che mostrano il piedino
smaltato, strizzate in pantaloncini cortissimi e top scollati, tutte prese a
girovagare per le autostrade americane in attesa che
la macchina più cazzuta degli Stati Uniti le deflori
con tutta la sua meccanica virilità: praticamente il sogno nascosto di
qualsiasi adolescente brufoloso cresciuto a pop corn
e coca cola. A Prova di Morte rappresenta
il lato meno nobile riconducibile al cinema di serie Z, quello che non riesce
ad andare oltre la lap dance, gli sculettamenti
e il linguaggio sboccato. Il primo indizio di come il Tarantino pensiero sia (già)
giunto al capolinea. Perché l’opera di questo idolatrato
autore altro non è che auto celebrazione, un parlarsi addosso attraverso
omaggi, comparsate, poster e stampe di magliette. Il
concetto di maniera tipico di un certo cinema post moderno, inaugurato proprio
dal regista di Pulp Fiction, viene qui estremizzato fino a valicare con entrambi i piedi
il limite dell’implosione. Tarantino dirige film cercando di trasmettere, da dietro la
macchina da presa, la passione per certe pellicole che da giovane lo fecero
innamorare della settima arte. Il problema è che gira un film che può piacere
solo a lui, innervandolo di cafonate buone a far divertire gli amichetti
invitati a trascorrere una serata nel suo cinema privato. Non bastano i trucchetti relativi alla rigatura
della pellicola, così come non stupiscono né i dialoghi che si impallano, né
gli intermezzi dove il colore cede il posto al bianco e nero. A certe cose ci
aveva già pensato un signore le cui gesta vengono
mirabilmente narrate in Man of the Moon, senza contare che giocare a fare il poveraccio
con i soldi di papà Miramax,
suona quanto meno fuori luogo. Anche il balletto delle
citazioni sparse, costringe la testa dello spettatore ad una noia arresa,
perché, pur non negando l’utilità di richiami facenti capo ad altre
pellicole, un film non dovrebbe mai trasformarsi in un surrogato panoramico
della settimana enigmistica.
Ecco:
il cinema di Tarantino
si è trasformato in un gioco ad “indovina il film nascosto”,
operazione questa, che, quando il risultato è in grado di raggiungere livelli
elevati (vedi Kill
Bill), può
essere anche piacevole, ma quando la conclusione rasenta la mediocrità, finisce
per trasformarsi in una snervante agonia. Tutto questo senza
contare l’intervallo di tempo trascorso tra il secondo episodio della
saga interpretata dalla bionda spadaccina e Death Proof. Una pausa durante la quale,
il buon Quentin
ha diretto una puntata di CSI e nulla
più. Un po’ pochino per un personaggio che idolatra i
maestri del cinema di genere, gli stessi in grado di girare più film
l’anno senza mai scendere più di tanto sotto il limite
dell’accettabilità. Il sospetto che questo cognome prodigio sia ad un passo dal poterlo definire bollito, aumenta quando
si guarda ai progetti futuri di quest’ultimo
che, oltre al terzo episodio di Kill Bill e all’ormai storico progetto di un remake di
Quel maledetto treno blindato, non
pare avere tante altre novità per la testa. Come dire, se il presente non è entusiasmante, figuriamoci cosa ci prospetta il futuro.
Tanti auguri Quentin.
E’ stato breve ma intenso.
(07/06/07)