HALLOWEEN II di Rob Zombie
REGIA: Rob Zombie
SCENEGGIATURA: Rob Zombie
CAST: Tyler Mane, Scout Taylor-Compton, Sheri Moon Zombie
ANNO: 2009
TO BE CONTINUED… (?)
Dirigere un horror capace di far tornare in mente Mario Bava e Lucio Fulci si può. Se ti chiami Rob Zombie. Nel donare ennesima vita e vitalità all’icona Michael Myers, l’ex rocker post-atomico conferma quanto di buono sostenuto riguardo la sua (nuova) carriera di cineasta. Giunto alla quarta performance dietro la macchina da presa, il regista riallaccia il filo narrativo con il precedente remake, lasciando intuire fin dal principio il devoto sentimento dell’appassionato rispetto alla pellicola originale di Rick Rosenthal. L’Halloween 2 riveduto e corretto nel 2009 approccia fotocopiando l’incipit dell’omonimo predecessore datato 1981, che proprio dal sipario fatto calare tre anni prima sull’opera di John Carpenteraveva mosso i suoi primi passi. Rob Zombie rivisita stilisticamente il mito, senza per questo tradirne continuità, memoria e tradizione: perché prima di un semplice film, Halloween 2 rappresenta il testamento artistico (fortunatamente ancora incompleto) del fan genuino, al quale è stato concesso il privilegio di convivere con una delle sue maschere predilette. Attraverso questa chiave di lettura vanno interpretate le scelte scenografiche e costumistiche che, tra poster, canotte, jeans sdruciti e vessilli heavy metal, equivalgono ad un vero e proprio tuffo nel personale immaginario del regista, apnea contro culturale che tanto sa di totale immedesimazione con la materia trattata. Altrettanto evidente la sterzata visiva rispetto a quanto ammirato durante il primo capitolo, perché InHalloween 2 aumenta a dismisura il senso di claustrofobia suggerito dalle inquadrature: strette sull’epidermide lacerocontusa dei personaggi o costrette a trovare la giusta alternanza di geometrie nel risicato spazio degli angusti interni; così come vengono amplificate le cupe tonalità fotografiche, armonizzando un binomio strutturale finalizzato a trasmettere allo spettatore un perenne sentimento di morte mista ad apocalisse imminente. A ruota inseguono le frequenti e ripetute accelerate di violenza iperrealista, veri e propri innesti di selvaggio barbarismo che si accaniscono sui corpi indifesi. Tagli, mutilazioni e cadaveri come se piovesse, in un crescendo di decessi incapace di conoscere pause e mai tentato dalla possibilità di concedere, a chi guarda, la possibilità di tirare il fiato. Lampante la triade registica adottata come ispirazione da Rob Zombie: l’amato Sam Peckinpah, il cui tocco viene omaggiato con riconoscibili ralenti che già fecero buona parte delle fortune de La Casa del Diavolo; Lucio Fulci, che per le abbondanti dosi di gore e il forsennato susseguirsi relativo alla messa in mostra di omicidi in serie sembra addirittura “supervisionare” la pellicola; infine il richiamo inaspettato, che sorprende in positivo e permette adHalloween 2 di conquistarsi un posto al sole: Mario Bava, alla cui sterminata immaginazione Rob Zombie decide di fare riferimento nel momento in cui spezza la continuità narrativa con divagazioni oniriche in grado di spingersi fino ai confini della video arte, parallele visive all’interno delle quali viene concesso il giusto spazio alla rilettura “familiare” e psicologica della vicenda, già ampiamente impostata e sviscerata dall’autore nel primo Halloween. Come nell’episodio precedente, a destare maggiore interesse da un punto di vista storico e cinematografico è la rilettura personale effettuata da Rob Zombie riguardo la contorta e infantile psiche di Michael Myers, oggi sempre più bambino imprigionato in un corpo da mostro e non (solo) incarnazione fisica del demonio così come rappresentato da Carpenter prima e da Rosenthal poi.
Tecnicamente raffinato, sequenzialmente straniante (il continuo e affascinate alternarsi di realtà sognata e incubo reale), Halloween 2 palesa (e verrebbe da aggiungere purtroppo) manifeste lacune di scrittura, da sempre nervo scoperto dell’opera di Rob Zombie e, in questo caso, evidente zavorra che ne fiacca lo sceneggiatura, limitando con sottrazioni lo script lì dove dovrebbero esserci esame e approfondimento. A farne le spese Laurie Myers/Strode, incosciente e al tempo stesso legittima sorella di Michael, al cui personaggio non viene mai garantita l’analisi che meriterebbe e, soprattutto, il dottor Loomis, alias unMalcolm McDowell praticamente impalpabile, lontanissimo dagli standard garantiti in Halloween perché costretto a tirare fuori la sufficienza stiracchiata da un’interpretazione che con troppa e ingiustificata rapidità lo vede trasformarsi, da avido imprenditore di sé stesso, in psicologo redento. Il finale, aperto e per certi versi kubrickiano, concede a Rob Zombie credito e tempo necessario per colmare due lacune in un colpo solo: chiudere con una personale trilogia una saga che dal 1982 in poi ha conosciuto solo prodotti scadenti (si va dall’Halloween 3 di Tommy Lee Wallace all’Halloween: Resurrection di Rick Rosenthal) e di dimostrare di essere, altre ad un signor regista, anche uno scrittore di talento.