HERO
REGIA: Zhang Yimou
CAST: Jet Li, Tony Leung,
Maggie Cheung
SCENEGGIATURA: Feng Li, Bing
Wang
LA FORESTA DEI PUGNALI VOLANTI
REGIA: Zhang Yimou
CAST: Takeshi Kaneshiro, Zhang Ziyi, Andy
Lau
SCENEGGIATURA: Feng Li, Bin
Wang
A cura di Pierre Hombrebueno
IL WUXIA-PIAN SECONDO ZHANG YIMOU
Dai classici Chang Cheh o King Hu, passando per i moderni Tsui Hark o Ching
Siu-Tung, il wuxia-pian è
sempre stato sinonimo di epica, storie maestose di
solitari cavalieri erranti, un Cinema dinamico fatto di combattimenti
velocissimi e passioni più ardenti che mai.
Pensando a ciò, Zhang Yimou
è probabilmente il regista meno adatto per girare un wuxia,
in quanto la sua poetica è quanto di più anti-wuxia possa esistere. Un modus operandi rigoroso e dalla morale rigida, come le immagini
scolpite dalla macchina fissa. Poche inquadrature, ma lunghe nella
propria staticità. Una dilatazione temporale che non sembra
avere fine, spazi chiusi (volontariamente) che danno poco respiro, così come
chiusi (involontariamente) il mondo dei protagonisti. Etica.
E basta la visione di un Lanterne Rosse o un Sorgo Rosso per capire che Yimou è difficilmente inseribile in un contesto di wuxia, tantochè, i più fanatici
del genere hanno sentenziato Hero e La foresta dei
pugnali volanti come “una dimostrazione di come NON si deve fare un wuxia-pian”.
Ma probabilmente hanno compreso male il progetto di Zhang
Yimou, che si colloca ad un livello molto più alto
che “fare un wuxia-pian”, in quanto suo
scopo è spingere le barriere della sua poetica in un contesto che non aveva mai
esplorato, una sfida contro sé stesso. Può Zhang Yimou fare un prodotto per lui nuovo in genere e tematiche, ma nel contempo stesso mantenere la propria mano registica, facendo rimanere nell’opera quel qualcosa
che rende Zhang Yimou
unicamente Zhang Yimou? Si.
Insomma, siamo davanti ad una piena applicazione della politique
des auteurs, della crescita
artistica di un autore che già in passato ci ha portati opere di alto livello.
Il regista cinese mantiene la sua forte etica, che in Hero vede sbocciare ancora una volta in una morale chiara e
semplice, e poi perfezionata nel rigore estetico in La foresta dei pugnali
volanti, rinnovando il genere di una spiritualizzazione contestuale mai
pronunciata o esposta a parole, ma semplicemente impressa nelle inquadrature
della macchina da presa. Il lungo silenzio che anticipa lo scontro tra Cielo e
Senza Nome in Hero come quello tra Jin e Leo ne La foresta dei
pugnali volanti è più di un momento di pausa. Li vediamo lì, fermi ed immobili,
ma sappiamo che la loro mente e spirito sono confinati nella vera battaglia,
oltre la pelle e la carne.
E poi, dopo questo (anti)climax,
raggiungiamo il picco, perché l’anima è pronta a far volare i corpi
trapassando le leggi della gravità, andando oltre corpo cuore e mente e
divenendo semplici foglie che soffiano al vento a passi di una danza elegante:
l’etica diviene estetica. Un’estetica raffinatissima nella scelta
cromatica, foglie danzanti ravvicinate all’occhio visivo con primi piani
ed enfatizzati da un ralenti innaturale di blocco temporale: assistiamo
senz’altro a qualcosa di contaminato (filtri, colori, voli, ritocchi
digitali), ma nel contempo stesso, per la cura e(ste)tica, anche a un qualcosa di puro
e macabro, un po’ come camminare bendati in una spada affilata.
I due wuxia di Yimou sono
dei ritratti, una serie di fotogrammi così pittoreschi e vivi nella loro forza
visiva da richiamare in sé una pura tradizione teatrale, sia quella
orientale che quella occidentale delle tragedie greche e shakesperiane, tanto da abolire ogni logica di oggi in
quanto ciò che conta, come del resto da sempre nel Cinema di questo autore, è
la morale quasi dogmatica dell’immagine e dei significati. Egli porta
perciò, in Hero e La foresta, sia una potente chiave
fisica, data dai combattimenti e dalla lama delle spade, che sfocia in una grande violenza carnale nell’epilogo di entrambi, ma
anche metafisica, dove il sacrificio più grande è di natura spirituale (Hero) e i sentimenti ciechi, come fantasmi invisibili che
si muovono irrequieti, sono colpevoli sia di morte, dolore, e felicità (La
foresta dei pugnali volanti). Ed è questo che rende
grande il Cinema di Zhang Yimou.
Il suo rifiuto totale delle convenzioni di genere, perché
parla unicamente col suo personalissimo linguaggio cinematografico. Al
contrario di molti, odia riciclare da altri film o autori, ma solo da sé
stesso. Questi due wuxia sprizzano Yimou da tutti i pori. E questo ci
basta per amarli fino in fondo.
(23/05/05)