HUNGER GAMES di Gary Ross
REGIA: Gary Ross
SCENEGGIATURA: Gary Ross, Suzanne Collins, Billy Ray
CAST: Jennifer Lawrence, Liam Hemsworth, Elizabeth Banks, Josh Hutcherson
NAZIONALITA’: USA
ANNO: 2012
USCITA: 1° maggio 2012
BATTLE ROYALE
Da qualche parte sperduta dell’America e in un altro tempo esiste una nazione divisa in distretti chiamata Panem: sotto l’assoluto controllo di un regime dittatoriale i giovani sono chiamati annualmente a “offrirsi” come vittime sacrificali di un crudele gioco al massacro a eliminazione diretta. Con tale “tributo” il sistema obbliga i poveri abitanti dei distretti a ricordare l’antico oltraggio di una ribellione soffocata nel sangue in un crescente programma di morte a uso e consumo dei telespettatori dell’opulenta Capitol City, l’altra faccia ipocrita del mondo. Così si apre Hunger Games, ultimo teen age movie dopo Twilight. Per parlare del film è necessario dare un po’ i numeri: 372 milioni di dollari di incasso nelle sale americane sono sufficienti? Successo meritato o solita bolla di sapone? Presto detto: alla base c’è una serie di romanzi, ma la fortuna di questo nuovo fenomeno adolescenziale non può essere tutta qui. La pellicola è a firma Gary Ross non esattamente un signor nessuno. Qualcuno lo ricorderà per Pleasentville, opera di debutto, apprezzata per gli effetti speciali e la tecnica di messa in scena, dentro la quale si celava un’audace critica sociale all’ipocrisia al puritanesimo a stelle e strisce. Altri penseranno a Seabiscuit, cinderella horse in grado di far sognare (e sperare) un’intera nazione nel bel mezzo di una crisi economica. Hunger Games poteva costituire un pericolo per il cinquantaseienne californiano che, invece, centra l’ennesimo bersaglio. Questi afferma di aver conosciuto la trilogia di Suzanne Collins grazie ai figli fan dei libri e di aver deciso di curare la regia perché affascinato dai personaggi; in realtà forse dietro questa scelta si riflette il desiderio del cineasta di trattare sempre lo stesso tema, attraverso un linguaggio più semplice. La scrittrice ha spesso dichiarato di aver voluto narrare in chiave moderna e fantasiosa il mito di Teseo chiamato a sfidare il Minotauro nel labirinto, eppure la saga si nutre di panorami (letterari e cinematografici) perfettamente riconoscibili. Nella sua nuova fatica Ross sfoggia una capacità stilistica non indifferente accompagnato da maestranze da primi della classe (la fotografia di Tom Stern e le musiche di James Newton Howard, tanto per fare due nomi). L’affresco è assolutamente fantastico (e per fantastico si deve intendere il giusto confine tra atmosfere sci-fi con creazioni fantasy) e rievoca distopie, oggetto di tanta cultura di genere. La macchina da presa filma un racconto crudo e realistico, dove la violenza è attraversata come un lampo da una costruzione di stampo televisivo. Le inquadrature sghembe, sempre più sporche, adattate a un uso della macchina a spalla al limite del nervosismo, fanno di questo lungometraggio un prodotto di qualità non esente da difetti e scorciatoie narrative. I due ragazzi in fuga Katniss e Peeta, gladiatori lanciati nell’arena di un reality, non possono non far tornare alla mente figure di opere quali Battle Royale o piuttosto logiche care al The Truman Show, ma qui gli intenti sono meno ambiziosi. Le scenografie del luccicante olimpo di plastica Capitol City echeggiano nelle forme e nelle architetture l’antica Roma del futuro. Jennifer Lawrence e Josh Hutcherson hanno i volti giusti per esprimere il coraggio e l’estrema umanità di una gioventù pura, contaminata dai compromessi dello spettacolo. In modo particolare la ventunenne del Kentucky si consacra attrice a tutto tondo, con un fisico non certo canonico e ordinario per una nascente stella di Hollywood, ma in grado di dare vita ad una guerriera senza paura non priva di sensibilità. Il lavoro di casting si completa egregiamente con assi del calibro di Woody Harrelson, per passare alla matrigna Elizabeth Banks (quasi uscita da un incubo fiabesco in technicolor) un sempre generoso Stanley Tucci, fino al gigantesco Donald Sutherland. Chissà cosa avrebbe pensato il Prigioniero McGoohan (lui uomo libero e non certo un numero) di questa battuta “Ogni giorno spero di trovare un modo per dimostrare che non mi possiedono”. Anche se dovessi morire continuerò ad essere me stesso”.