L’IGNOTO SPAZIO PROFONDO
REGIA: Werner Herzog
CAST: Brad Dourif, Ellen Baker, Franklin Chang-diaz
SCENEGGIATURA: Werner Herzog
ANNO: 2005
A cura di Davide Ticchi
WAKE FOR GALILEO
L’ignoto spazio profondo ci circonda, senza che nemmeno ce ne rendiamo
conto siamo uomini letteralmente inghiottiti dalla spazzatura, che in ogni sua
forma disorganica completa questo pianeta, solo apparentemente pulito, e
infinito. Come l’alieno alterato accusa la Terra di un’eccessiva
vastità del suo suolo e denuncia ciò che vi accade sopra, così Werner Herzog sintetizza questa
stessa sfera materiale in una sterminata landa californiana, dove un uomo
turbolento cammina, pronunciando verità e falsità cosmiche. I suoi movimenti
comunicano di per loro fascino e compiutezza visiva
allo spettatore, anche grazie a un Brad Dourif superlativo, coda di capelli bigi e occhi spiritati
si antepongono all’ignoto spazio terrestre. Suoli
solcati da affascinanti turbine per l’energia eolica, scheletri di case e
pullman, ove la spazzatura si sedimenta e non si percepisce presenza umana
alcuna. Quindi l’uomo che parla, il background
che è non luogo e allo stesso tempo luogo post-atomico, effetti sterminanti di
realtà parallele e inumane.
L’ignoto spazio profondo è percorso da una navicella in cui gli
astronauti che la governano vogliono ritornare alla loro base, sul pianeta
terra. Questo però è diventato invivibile durante la
loro assenza interplanetaria, e l’unico modo per sopravvivere è trovare
un nuovo pianeta su cui atterrare. L’alieno ci è
narratore di tali vicissitudini in quanto esemplare sociale di una popolazione
extraterrestre, scesa sulla terra per cercare invano di socializzare con gli
esseri umani.
Dubbio che ha assalito un recente e ristretto filone cinematografico pertinente
la situazione climatica e meteorologica dell’atmosfera terrestre,
continuamente inquinata ed inquinante, è se questa descrizione potrà essere
scritta e tratta ancora per molto. La natura si ribellerà prima
o poi? Se sì, quando e in quale modo? Le
risposte sono molteplici, c’è chi propone versioni cinematografico-catastrofiche
in “giorni dopo domani”, e chi come il maestro Werner
Herzog predilige una versione metafisica e
subordinata dell’impressione per immagini riguardante
problematiche naturali attuali, da non sottovalutare assolutamente. Herzog più che all’allarmismo sembra
volerci richiamare all’attenzione, a quella dei sogni nello spazio, di
chi da bambino voleva essere astronauta e di chi non lo è diventato, e faceva
largo uso di benzina quando la specie umana esisteva ancora. Oggi che questa si
è bruciata, non manca certo il cielo chiaro e la temperatura mite, ma manca
l’umanità commemorata da carcasse metalliche e sporcizie di ogni genere.
Non serve certo l’abuso degli effetti speciali, se non ai botteghini, per
far riflettere la gente su un problema che le è così vicino e a “portata
di mano” come l’inquinamento ed il completo azzeramento di valori
importanti quali fantasia e sogno, ormai propriamente idealizzati da mode e
amoralità. Non che Werner Herzog
voglia fare la morale al suo pubblico, che difficilmente sarà quello miscredente all’arte del sognare, ma oltre ad
impartire una nuova eccellente lezione di cinema, sensibilizzare chi non
valorizza adeguatamente l’immaginazione come medium delle problematiche
riguardanti la realtà, e quindi l’arché del
realizzare e fruire cinema. Attraverso due generi elegantemente contrapposti,
quale quello documentaristico ed il genere fantasioso,
Herzog dimostra infatti come solo l’arte possa
abbattere il dualismo presente fra realismo comunemente inteso e surrealismo
nella sua accezione più letterale. Per questo il discorso filmico assume
sembianze oltremodo curiose e intelligenti quando il suo significato viene a
compiersi, ed il realismo più prosaico a fondersi col surrealismo elegiaco,
supportato da musiche e riprese spaziali splendide.
Herzog raffigura due mondi paralleli perché
esistenti, e contrapposti perché troppo distanti, forse l’uomo non ha
alcun diritto di opporsi alle leggi della natura.
Tra le opere più apprezzate di Venezia 62.
(23/11/05)