IL DISCORSO DEL RE di Tom Hooper

Regia: Tom Hooper
Sceneggiatura: David Seidler
Cast: Colin Firth Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Derek Jacobi
Anno: 2010

UN RE ALLA RICERCA DELLA SUA VOCE

Le parole sono importanti, ci ricordava Nanni Moretti in accappatoio e costume da Michele Apicella qualche anno fa. Avere la voce per dirle, è importante forse più delle stesse parole, ci racconta Tom Hooper ne Il Discorso del Re.

Un Re balbuziente, salito al trono quasi per caso e non certo in un periodo di tranquillità politica; l’Europa è in subbuglio per la minaccia all’ordine e alla pace portata dalla Germania hitleriana, e anche i regnanti non possono starsene chiusi nel loro castello di etichetta e convenzioni e far finta che nulla stia accadendo, anche se il loro contributo si ferma a un discorso radiofonico. Già, perché la radio ha già cambiato la politica del primo dopoguerra, e nessuno più si può sottrarre all’uso delle arti retoriche, contro l’oratoria per masse che ha forgiato la nazione nazionalsocialista (semplice e scontata, ma funzionale, la scena in cui Re Giorgio VI guarda ammirato il video di un discorso di Hitler, che “dice cose discutibili, ma non si può certo affermare che non le dica bene”), neanche se tartaglia e s’impappina puntualmente quando parla ad altri e a se stesso, come Bertie-Re Giorgio.

Il Discorso del Re parte appunto con un discorso del suo protagonista davanti a una folla e un microfono e si conclude con un altro discorso, ben più importante del primo, tenuto davanti a un altro microfono e a una platea ben più ampia, quella di un Impero in attesa davanti a apparecchi radiofonici accesi, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Nel mezzo, la ricerca di una voce e delle parole che Bertie-Re Giorgio ha in mente ma non riesce a far uscire. La conquista di un suono che esprima i propri pensieri (ma pure quelli degli altri, via. S’è mai sentito di un re che si scriva i discorsi da sé, del resto?) passa – come ci si aspetta che sia in ogni bella storia che passa al cinema – per due rapporti umani: quello di contrastata amicizia tra impari di Bertie-Re Giorgio e dell’eccentrico logopedista di origini australiane Lionel Logue e quello famigliare e dannatamente prevedibile con la moglie Elisabetta.

Film di attori e di voci, e difficilmente viste le premesse poteva essere altro, Il Discorso del Re assomiglia paurosamente spesso a uno sceneggiato radiofonico: statico, impostato teatralmente, imperniato su balbettii, cambiamenti di tomo, silenzi, pause, pronunce stentate, canzoni imbarazzate, poesie declamate, brani shakesperiani, battutine sugli accenti della periferia dell’impero di Sua Maestà, prove di dizione, rumori di sottofondo. Il lavoro della regia si concentra e quasi finisce qui, magnificato dalle interpretazioni di quasi tutto il (largo cast), con in testa naturalmente un Colin Firth in forma smagliante, ma nel quale una menzione speciale va fatta a Derek Jacobi, che rende il portamento nobile e squisitamente british al suo subdolo e vissuto Arcivescovo di Canterbury. Tutto il resto, dai riferimenti alla politica alla descrizione delle immagini che accompagnano da lontano le parole dei protagonisti, passa in secondo piano, sbiadisce al suono delle voci in un cinema che sembra rinunciare alle armi visive.

Chi s’accontenta gode, e se balbettii che diventano una voce grazie all’aiuto di chi è amico per davvero vi basta, Il Discorso del Re non vi deluderà.

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