L’ IMMORTALE di Richard Berry

 

REGIA: Richard Berry
SCENEGGIATURA: Richard Berry, Matthieu Delaporte, Alexandre de la Patelliere
CAST: Jean Reno, Kad Merad, Jean-Pierre Darroussin, Marina Fois
ANNO: 2010

“SONO LA VITA VIOLENTA SAN FRANCESCO SI DIVENTA”

Mia è la vendetta. Gridava così, qualcosa come sessant’anni fa, una delle più celebri tra le avventure di Mike Hammer: romanzo al vetriolo costruito da quella sorta di sparachiodi che Mickey Spillane sembrava utilizzare al posto della macchina da scrivere. Carico di tutt’altro romanticismo malavitoso, L’Immortale si nutre della medesima sporcizia di strada, la stessa che insozza, come a Marsiglia, i vicoli delle maggiori metropoli criminalmente riconosciute e scolpite nell’immaginario collettivo. Richard Berry adatta per il grande schermo l’omonima opera letteraria di Franz Olivier Giesbert, percorrendo lo stesso sentiero registico intrapreso da Michele Placido con Romanzo Criminale e confermando, nonostante il paragone possa apparire a prima vista forzato, quanta e tale breccia abbia fatto nei cuori d’oltralpe il modello tratto da Giancarlo De Cataldo. Pur cibandosi anch’esso di cronache di (mala)vita vera, L’Immortale possiede, rispetto al “prototipo” tricolore, un pregio capace di tramutarsi ben presto in arma in più: lo stesso che gli permette di smettere fin da subito gli abiti vintage per ambientare in epoca contemporanea una vicenda figlia dei tardi anni ‘70; esaltando così le doti di un testo universale proprio perché di genere, dal corpo talmente robusto da dimostrarsi insensibile alle facili derive retrò.

Berry non è e probabilmente mai diventerà Oliver Marchal, ma nelle sue vene registiche scorre sincero sangue polar, verve cinefila che gli consente di avvicinarsi alla materia in questione attraverso il perfetto equilibrio di grazia e aggressività, doti che solo chi possiede le idee chiare fin dal principio può concedersi di esprimere dietro la macchina da presa. Jean Reno beneficia di un’impalcatura registica da dieci e lode e indossa, con il carisma e la credibilità di chi è in grado di mangiarsi la scena qualsiasi sia il ruolo assegnatogli, i panni di un gangster vecchia scuola, accompagnato da un’aura cristologica, interprete benedetto e supplicato: miracolato prima e trafitto poi da una corona di spine; mentre una fotografia trascendente ne segue le gesta fino al compimento del nobile regolamento di conti. Un noir prima maniera, ossessionato da Puccini e popolato da villain di strada, capace di riconciliare con un cinema che torna ad essere al tempo stesso forma e sostanza, calma e tempesta, stilizzazione e misticismo religioso, opera del presente ma affamata della sua cultura passata.

L’Immortale è un piacevole diesel di celluloide, appena sofferente nei confronti di un avvio ingannevolmente ridondante e tradito quel tanto che non guasta da una sceneggiatura tendente alla lungaggine: macchina da cinema comunque epica e sinfonica che, una volta ingranate le marce alte, cattura e trascina; grazie ad una equipe attoriale di assoluto rispetto, perfettamente tratteggiata in un mondo di onore dimenticato e resuscitato appena in tempo dall’annegare in un cimitero di tradimenti e pugnalate alla schiena. «Se decidi di smettere, un giorno qualcuno busserà alla tua porta per vendicare suo padre, suo fratello o suo zio» – morale e al tempo stesso condanna per chiunque intraprenda la “vita”, cerchio dal quale è impossibile uscire a meno che l’umano non si trasformi in divino. Qualcosa a metà tra il Jean Francios Richet di Nemico Pubblico n°1 e Jaques Audiard: ecco cos’è L’Immortale; nonostante i suoi manifesti diretti molto più a bersaglio rispetto al Vendicami di Johnny To. Francese si, ma solo d’adozione. Non di nascita.

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