INDIANA
JONES E IL REGNO DEL TESCHIO DI CRISTALLO
REGIA: Steven Spielberg
SCENEGGIATURA: David Koepp
CAST: Harrison Ford, Cate Blanchett, Shia Labeouf
ANNO: 2008
A cura di Pierre Hombrebueno
ENJOY
THE NOSTALGIA
Che caso, questo capitolo di Indiana Jones si apre con una corsa automobilistica che ha il
sapore dell’on the road tinto di pericolo, esattamente come nel primo
capolavoro di Spielberg datato 1971, Duel, in cui già anticipava e condensava tutto ciò
che sarebbe stata la sua carriera nei decenni a venire. Che caso ancora,
addirittura il film si chiude invece con gli extra-terrestri, che sappiamo bene
essere una delle fisse tematiche del nostro Autore, da
Incontri ravvicinati ad E.T, senza
contare che alla fin dei conti tutti i suoi personaggi sono, chi più chi meno,
alien(at)i, e da questo non sfugge nemmeno la figura di Indiana Jones, l’eterno e solitario avventuriero. In ogni
caso, dopo l’importante passo autoriale
compiuto per Munich, stavolta Spielberg pare riguardarsi un attimo indietro con
dolce e frenetica nostalgia, ri-attraversando tutto il suo Cinema precedente
come in un viaggio indietro nel tempo, in un progressivo ringiovanire e
riscoprirsi più che mai giocherellone della forma e del ritmo cinematografico,
un Peter Pan rinato che ha
ricostruito ancora una volta la sua isola che non c’è, il suo parco-giochi contenente le proprie giostre preferite e
ormai patrimonio culturale di immagini ed evocazioni per la massa. Ce lo dice già chiaro e tondo il logo iniziale della Paramount, che qui ritorna versione pre-digitale e ancora vintage
retrò, come ai vecchi tempi di Indiana: proprio come allora, anche in questo
episodio abbiamo l’action fisico duro e puro, di quelli che ancora
richiedono una marea di stunts per la quantità di
corpi che volano - si spiaccicano - si buttano. Sapore di anni
80’. Sapore di giovinezza. Così fottutamente
old fashioned. Fuori tempo massimo e per questo fuori
bersaglio, inattaccabile almeno quanto la colonna sonora di John
Williams.
Spielberg ama il suo personaggio quasi con
commozione, e la prima scena in cui appare il Dottor Jones
ne è la prova; con grande cautela, l’Autore
riesce a creare suspense persino nel mostrare il nostro indelebile protagonista
in modo così verginale, quasi a spogliare la sua figura poco a poco, come in
uno striptease: prima il mitico cappello che viene scaraventato per terra,
seguito da un plongè che riesce a delineare ma non a
confermare quella figura che pensiamo di aver riconosciuto, ed infine, ecco le
ombre proiettate sulla macchina.. si, è lui, si gira, è Harrison
Ford aka Indiana Jones, il nostro eroe. Standing ovation.
Tutto sa già di vissuto (e di amato), il profumo del deja vù o del fantasma che ritorna
carne ed ossa, segnato dal passo del tempo, come testimoniano rughe e capelli
bianchi, non a caso le prime battute che pronuncerà Indy
riguarderanno proprio il passato e la vecchiaia. Ma al Cinema, così come
nell’immaginario collettivo, egli non può invecchiare, ed infatti eccolo nuovamente a saltellare di qua e di là
mentre un po’ tutto attorno a lui esplodono cose manco fossimo in un
video-game, riuscendo addirittura a scappare da un’esplosione nucleare..
ah, Superman dotato di frusta, pungentemente ironico,
stavolta più ficheggiante del solito, in mood quasi Eastwoodiano nell’avere tutte per sé le battute più cool e sborone della pellicola. Spielberg, coi suoi dolly, insegue le scene con estremo dinamismo, divertendosi
nel mettere i suoi personaggi in prove sempre più ludiche ed estreme, fino alla
punta massima dell’adventure con
l’inseguimento in jeep, dove a complementare la regia c’è il
montaggio di Michael Kahn,
lo stesso mani di forbice che sta dietro Jurassic
Park, quindi uno che sa bene l’efficacia del taglio frenetico ed
incalzante degli inseguimenti, con la differenza che stavolta al posto dei
dinosauri abbiamo dei Russi incazzosi che ci
ricordano tanto i nazisti de L’ultima crociata. Indiana Jones e il Regno del teschio di cristallo è innanzitutto
un regalo, un magnifico e auto-celebrativo sfizio che hanno voluto concederci
(si sono voluti auto-concedere) Spielberg e Lucas. Al contrario della nuova trilogia di Star Wars, questo episodio non si
prefigura di completare una galassia e un’essenza, bensì ha il compito di
prolungare le ipnosi di una figura mitologica del Cinema moderno, dimostrando
come l’immaginario spielberghiano sia
prettamente ininvecchiabile anche col passare dei
decenni. Si rincorrono scene euforiche (il giro in moto dentro l’università)
ed evocative (il bellissimo panorama dell’astronavicella,
che respira di altri tempi e altri spazi, i sogni di
cui Spielberg ha fatto la sua fabbrica filmografica), si trasformano semplici macchiette in
personaggi memorabili (la femme fatale russa interpretata da Cate Blanchett)
perché immediatamente icone fumettistiche di questo ritornare nostalgico, in
una dimensione di retrosità che nei film di oggi si
fa viva (e vita) sempre più raramente: Il Cinema che diventa ancora gioco ma
contemporaneamente contemplazione, intrattenimento ma allo stesso modo viaggio
introspettivo nella propria Arte e creazione, il tutto velato di malinconia per
quei bei tempi che non torneranno mai più se non lì, in quella sala
trasfigurata macchina del tempo, anche se solo per due ore.
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