INFERNAL AFFAIRS di Andrew Lau e Alan Mak
REGIA: Andrew Lau, Alan Mak
CAST: Andy Lau, Tony Leung, Anthony Wong
SCENEGGIATURA: Alan Mak, Felix Chong
ANNO: 2002
NAZIONALITA’: Hong Kong
E’ ANCORA BUIO A HONGKONG…
Fin da bambino, caso o non caso, sono sempre stato dalla parte dei cattivi.
Li ho sempre trovati meglio curati dei buoni, e solitamente anche più carismatici ed iconografici, come già hanno dimostrato Darth Vader oNorman Bates. Insomma, amo il villain cinematografico, il risucchiamento inevitabile verso la forza oscura. I buoni sono appunto, troppo buonisti, di solito pure moralisti, talvolta noiosi.
L’immensità di Infernal Affairs (purtroppo uscito da noi solamente a noleggio e mai nelle sale), sta invece nel lasciare lo spettatore nel mezzo di una guerriglia “confusa” che cancella i confini tra il bene e il male, il buono e il cattivo. Questo già accadeva negli anni di piombo dominati dai cosiddetti b-movies, con il poliziottesco di Fernando Di Leo che nel caos generale, rendeva completamente inverso il ruolo poliziotto/criminale. Ma se in Di Leo (e nella maggioranza dei film dove i personaggi non seguono il conformismo), c’era comunque il personaggio “chiave”, con la risoluzione generale del buono che si rivela completamente cattivo o cattivo che si rivela completamente buono, in Andrew Lau e Alan Mak la risoluzione cessa proprio di esistere completamente.
Non c’è una strada tracciata che può portare un personaggio su una strada piuttosto che un’altra, bensì la nebbia completa che offusca le loro menti insieme agli spettatori, rendendo i due protagonisti completamente assimilabili come esseri umani, contro ogni cliché mentale. Ed è così che non c’è nessuna differenza pre-meditata tra Andy Lau, un infiltrato mafioso alla polizia, e Tony Leung, il poliziotto talpa alla mafia; le carte si confondono in tavola, ed entrambi i personaggi diventano molto amabili, in cui è facile riconoscersi proprio perché così umani in quanto mai programmati ad essere degli stereotipi.
Infernal Affairs è il ritratto della società odierna, dove il giusto e lo sbagliato non hanno più limiti e frontiere, dove regna il caos, e il destino (o il caso) gioca le carte essenziali: siamo in pieno territorio noir anti-umanesimo, dove l’uomo non ha nessun potere sul fato, ma il tutto deve necessariamente giocarsi su un terreno di battaglia sanguinoso, dove gli eroi non esistono né dalla parte del bene né del male, ma solo anti-eroi ovunque.
L’opera di Lau e Mak è quindi basato ad un livello semiotico, metaforico nella rappresentazione negativista della società, in qualche modo una visione da pessimismo Eastwoodiano (o prima ancora, Peckinpah), ma ciò che lo differenza dagli attuali noir hongkonghesi, è il fatto di non essere un’opera che tende alla spettacolarizzazione della macchina da presa: Sia Andrew Lau che Alan Mak non hanno mai posseduto né forse mai possiederanno l’elasticità spaziale dei movimenti di macchina di un Johnny To, e non si avvicinano lontanamente neanche alla dinamicità coreografica di un John Woo. Ma è proprio per questa loro mancanza di plasticità, che essi puntano tutto nell’identificazione e cura per i personaggi (ancora una volta, Eastwood), nel machiavellico livello di (pluri)significazione con una messa in scena classicamente poliziesco, dove il montaggio assume un ruolo predominante sulla macchina da presa, nel saper dosare con funzionalità il ritmo filmico. E in quelle poche volte in cui la macchina da presa diventa l’anima portante (Anthony Wong che “vola” da un palazzo), l’enfasi si proclama climax portante di emozioni spietate, crudeli e dure da digerire come ogni marchio noir vuole dalla sua parte, ed è proprio nel volo così angelicamente maledetto di Wongche il destino intreccerà la strada dei due protagonisti, così uguali ma sfigatamente di fazioni opposte.
Inutile aspettare un lieto fine per Andy Lau e Tony Leung. Fin dall’inizio sappiamo che essi sono già segnati e maledetti, e quindi non rimane che appartarci da perfetto spettatore, aspettando il click dell’orologio, il momento in cui i perdenti verranno dichiarati tali.