INSIDE MAN
REGIA: Spike Lee
CAST: Denzel Washington, Clive
Owen, Jodie Foster
SCENEGGIATURA: Russel Gewirtz
ANNO: 2006
A cura di Giuseppe Mariani
QUANDO L’APPARENZA (NON) INGANNA
“Tutte le opere d’arte sono forme
d’intrattenimento, ma non tutte le forme d’intrattenimento sono
opere d’arte e l’approccio più credibile all’arte è quello
che passa per l’intrattenimento, facendo si che l’arte vi prenda di
sorpresa.” (cit. Gavin Lambert)
Con una sequenza iniziale emblematicamente ispirata agli archetipi del teatro shakespeariano, l’ultimo parto di Spike Lee è una robusta favola metropolitana,
un’opera in nero carica di suspense e di
sorprese, caratterizzata da una messinscena adrenalinica, di grande dinamismo
narrativo e visivo. Il film prospetta e ribalta, senza soluzione di continuità,
il tratto logico e controverso, l’(apparente) inverosimiglianza tramica, la falsa pista, il dato scontato, ciò che si
prefigura infine come una sorta di metafora politica, giocosamente
“morale” e - pur nel già visto -, tutt’altro
che banale. Inside Man, aldilà del
“messaggio” e della speculazione ideologica ad ogni costo, è un
omaggio al cinema; nell’ingarbugliato gioco dei doppi e dicotomici piani
di vero e falso, d’illusorio e reale, d’ombre e luci, di
sogno/veglia ad occhi aperti/chiusi, in funzione di una purezza di forme e
linguaggi, di un montaggio ad orologeria che non ammette cedimenti stilistici, nè scollature narrative, è il cinema stesso.
Dopo il notevole SOS- Summer
of Sam, film “panico”, un thriller
(solo nell’approccio) fastoso e visionario, il regista afro americano,
cantore della sua gente, dei ghetti e delle commistioni culturali
interrazziali, torna al ”genere” per (ri)tarare
il suo gioco di scatole cinesi sui registri (apparentemente) più disimpegnati,
divertiti e divertenti, non di meno immaginifici delle opere dichiaramene
politiche, del cinema d’intrattenimento. Lee recupera, in maniera
personale e creativa (l’omaggio al cinema d’azione degli anni
’70 appare evidente, e così l’eco lumetiana
di Quel Pomeriggio Di Un Giorno Da Cani),
le suggestioni di una “magnifica ossessione” che - accade sempre
più raramente - sembra riemergere dalle macerie di un immaginario filmico
americano da tempo crollato su se stesso. Come le Torri dell’11 Settembre, prese spesso a pretesto da
un cinema “souvenir” votato alla rappresentazione meramente
spettacolare, infarcito di tronfi retoricismi
ed inani moralismi. Contrariamente a quanto accade in La 25 ora,
l’allegoria “terroristica” di Inside Man, sebbene meno esplicita e non
espressamente poetica, sembra più reale ed efficace, nel gioco delle parti che
si rendono irriconoscibili (nulla distingue i rapinatori dagli ostaggi), segno
che il “nemico” – non più inteso come minaccia esterna -, è
tra noi, si mimetizza dentro di noi, tra le pieghe delle nostre coscienze,
delle nostre stesse paranoie. La caccia al “mostro”, come in Summer of Sam, si
trasforma dunque in una persecuzione del diverso, dell’indesiderato, in
maniera proiettiva, al fine di esorcizzare lo “straniero” che
alberga in noi, estraneo alla nostra stessa coscienza.
Paranoia ed ironia, grande senso dello spettacolo,
dialoghi scoppiettanti, quantunque si percepisca il gioco frenante del
doppiaggio, convivono felicemente in un’opera di pura azione
cinematografica che si avvale di un cast stellare, esemplarmente superbo.
(15/04/06)