THE INTERPRETER

REGIA: Sydney Pollack
CAST: Nicole Kidman, Sean Penn, Catherine Keener
SCENEGGIATURA: Charles Randolph, Scott Frank, Steven Zaillian
ANNO: 2005


A cura di Elvezio Sciallis

QUANDO LA SOMMA E’ MINORE DEGLI ADDENDI…

Dovrebbe trattarsi di una ricetta semplice, un processo collaudato e privo di qualsiasi sorpresa. Si prende un regista dal mestiere solidissimo, gli si affiancano alcuni dei nomi migliori nei rispettivi ambiti, si scritturano una star maschile e una femminile di sicuro richiamo e in un batter d’occhio nasce il nuovo block-buster con, se possibile, qualche codazzo di premi raccolti qua e là per i maggiori festival.

The Interpreter, a guardare i credits e a leggerne la storia produttiva, sembra proprio il frutto di questo processo meccanico e freddo che abbiamo visto in atto a Hollywood da decenni. Ci sono tutti gli ingredienti base per farne un film di successo, in grado di raccogliere cospicui incassi nelle prime due settimane di uscita per poi passare a una breve vita sugli scaffali dei videonoleggi, ma qualcosa non è andato per il verso giusto.

In fondo, suppongo si tratti di fede e poco più. Di avere fiducia nel progetto, di riversare in esso qualcosa che vada oltre la routine e il mestiere. E nel caso di The Interpreter nessuno sembra crederci più di tanto.

Non ci credono gli sceneggiatori (Charles Randolph, Scott Frank e Steven Zaillian) che scrivono una rimasticatura sospesa a metà strada fra una spy story dal sapore seventies e un pastiche hitchcockiano che rimane prigioniero di schematismi ante caduta del muro di Berlino.
Non ci crede Sydney Pollack che si mette dietro la mdp con un occhio ai suoi vecchi successi complottistici e con una mano che comincia inevitabilmente a invecchiare.
Non ci crede Sean Penn che non ha le doti atletiche per interpretare il ruolo come farebbe un Matt Damon né, d’altro canto, ha la gelida e rude fissità con la quale un Clint Eastwood risolverebbe gli stessi problemi.
Non ci crede uno scandaloso Darius Khondji che ci aveva abituati a ben altre luci e ombre in Se7en o Panic Room e che qui rimane intrappolato fra vari stereotipi (l’illuminazione da telegiornale all’interno del Palazzo dell’Onu e quella calda e intima dell’appartamento di lei) senza lasciare alcun segno.
Non ci crede assolutamente un James Newton Howard che, cannibale come solo i compositori di colonne sonore sanno essere, accetta mille lavori e si ritrova spesso a non avere tempo ed energie per tutti e in questo caso tira fuori dall’armadio qualche avanzo di score accumulato durante gli anni.
Non ci crede infine William Steinkamp che non riesce ad accorciare la pellicola (15 minuti in meno avrebbero snellito e asciugato l’intera vicenda) e rimane ingolfato in una banale ragnatela di obbligatori controcampi.

C’è poi il gruppo di persone che ha invece riposto fede e energie nella realizzazione… Nicole Kidman, meno splendida del solito, meno brava del solito, sembra mostrare interesse e vivacità per il suo ruolo pur non andando al di là dell’ovvia figura di donna di cultura dal passato barricadiero, il presente agitato e il futuro di raggiunta maturità e consapevolezza.
Sarah Edwards (costumi) si diverte a spulciare vari abiti e acconciature per la variegata umanità ospite del Palazzo di Vetro mentre Jon Hutman allestisce diligentemente le sue scenografie fra cubicoli dei traduttori, stanze del potere e maschere africane.

The Interpreter è un film che nasce irrimediabilmente vecchio di una buona ventina d’anni e a ben poco valgono le finestre sul cortile e le donne vissute due volte messe in scena da Pollack nel tentativo di nobilitare una pellicola farraginosa che allinea una serie impressionante di linee di dialogo fra il banale e il comico (esilarante una telefonata fra Penn e Kidman, incapaci di prender sonno. Lei: “Cosa fai quando non riesci a dormire?” Lui: “Rimango sveglio!”) e una gestione delle scene d’azione svogliata e priva della necessaria tensione e violenza.

Ci sarebbe anche da discutere sul sottotesto (il dialogo e la diplomazia sono sempre più forti della soluzione violenta) urlato e proveniente da un pulpito quanto meno discutibile e sulla rappresentazione di un Onu assai più prestigioso e importante di quel che è in realtà, ma sarebbe operazione in fondo ingiusta nei confronti di un film che molto probabilmente si prefigge unicamente di intrattenere il pubblico e non certo di farlo riflettere.

Quale ricordo positivo può rimanere di una pellicola di questo tipo? Quello di un gruppo stupendo di attori comprimari quale raramente si è visto a Hollywood negli ultimi tempi: Catherine Kenner (nei panni dell’agente Dot Woods) ruba la scena a calibri quali Sean Penn e Nicole Kidman; Jesper Christensen fin troppo freddo e mellifluo nel ruolo del capo della sicurezza che si occupa di proteggere il dittatore e il redivivo Earl Cameron che dona uno sguardo ceruleo e bieco al terribile despota Zuwanie. Ottime interpretazioni che non riescono a salvare il film da una mediocrità destinata a relegarlo nel dimenticatoio in breve tempo (premi Oscar permettendo…).

(02/11/05)

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