(Interstellar) overdrive – sulla rotta di Nolan: IL CAVALIERE OSCURO
REGIA: Christopher Nolan
SCENEGGIATURA: Jonathan e Christopher Nolan
CAST: Christian Bale, Heath Ledger, Aaron Eckhart, Michale Caine, Gary Oldman
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2008
TITOLO ORIGINALE: The Dark Knight
Pochi film hanno pesato sull’America dei primi duemila quanto The Dark Knight di Christopher Nolan. Mystic River, La venticinquesima ora, Il petroliere: oltre si fatica a completare le dita di una mano.
Il cavaliere oscuro è la rivoluzione dell’immaginario che consacra Nolan allo status di autore da amare o odiare; il colpo di spugna che formatta (per alcuni colpevolmente) il dittico burtoniano ridisegnando l’icona del pipistrello secondo parametri grafici milleriani, che disconoscono i tratti del fumetto dark secondo Tim Burton sostituendoli con uno stilizzato impianto parapoliziesco, graffiato da spietati passaggi gangster. Lì dove Burton si dilettava con caricature pop e pulp Nolan fa tabula rasa stilistica, mettendo le cose in chiaro fin dall’incipit.
Una rapina alla banca della mafia. Dialoghi prossimi allo zero, colpi in arrivo attutiti da un silenziatore: Michael Mann, Point Break, Rapina a mano armata, La città si difende. The Dark Knight leva il sipario ostentando una sequenza manifesto: Gotham è sporca, corrotta, brulica di criminali senza scrupoli. Grilletto facile e coltello in mano. Questo Batman ha perso la spensieratezza delle origini DC, ricontestualizzato all’interno della visione hard boiled e nichilista escogitata da Frank Miller risulta oggi incompatibile con la “fattoria degli animali” pensata da Tim Burton in Returns (il pipistrello, il pinguino, la gatta). Alla fiaba nera preferisce la tragedia shakeasperiana, alla rappresentazione dell’emarginato animalesco predilige lo studio sull’identità secondo teorie già brevettate dallo Shyamalan di Unbreakable, alla descrizione di eroi contro antieroi antepone allegorie crude e terrene: quali ordine e caos, potere e anarchia, giustizia e verità. Batman Returns di Tim Burton si qualificava come iperbole (anche) politica, The Dark Knight si presenta in quanto costola del cinema d’azione che si fa sociologico. Se Batman il ritorno suonava come un vinile bebop d’atmosfera, Il cavaliere oscuro è ritmato dai bassi synth che rimandano ai NIN remixati da Hans Zimmer.
Il punto e a capo tracciato da Nolan è netto, finalizzato a indicare un invalicabile solco rispetto al passato senza per questo ripudiarlo, evitando, semplicemente, di ricalcarlo nell’animo. Tanto che i classici ai quali rendere conto diventano altri: Il Dottor Mabuse e Il padrino parte II su tutti.
Lang ispira l’inglese nel momento in cui prende forma l’idea del nuovo Joker, che fa il suo ingresso in medias res come immagine di un male assoluto e ancestrale, dalle origini misteriose e ingiustificate: senza passato e identità, Glasgow Smile sbavato in viso e filosofeggiare anarchico che rimanda al Bodhi di Point Break. Un kamikaze eccitato all’idea del corpo a corpo («Io sono una persona dai gusti semplici. Mi piacciono la dinamite, i proiettili e la benzina. Costano poco e se ne trovano in grande quantità»). Heath Ledger come Rudolf Klein-Rogge, individua nel denaro quel fattore che se sottratto, può condurre all’implosione di un sistema: fine ultimo di un piano dove il bene materiale per eccellenza non è obbiettivo né interesse («Non si tratta di soldi, ma di mandare un messaggio. Tutto Brucia!»), bensì semplice mezzo utilizzato per sovvertire lo status quo con il caos («Sai qual’è il bello del caos? E’ equo» ). La Gotham di The Dark Knight è un modellino in scala del contemporaneo marciume americano, dell’avidità che ne infetta l’animo e ne corrode le coscienze: Nolan non fa altro che rappresentarlo sottovetro, sostituendo il metaforico affresco familiar-criminale allestito da Coppola con l’immagine di una metropoli fittizia, la cui arteria principale è il malaffare nascosto dietro una facciata pulita e high tech. Più ingannevole all’occhio se paragonata ai rifiuti e ai liquami che fuoriuscivano dalle architettoniche perdite burtoniane.
La carica dinamitarda de Il cavaliere oscuro è custodita tra le sfumature del suo villain: l’universalità iconica rappresentata da Joker diviene il biglietto da visita di questo Nolan, la maschera che controbilancia l’impari duello inscenato da Begins, la chiave di violino che permette di accedere alle profondità dell’opera; sentimentalmente disinteressata alla celebrazione del mito perché attratta dall’esaltazione del suo lato oscuro, sviscerato attraverso il confronto con la sua nemesi (<<Senza di me non sapresti più che fare. E io senza di te non mi divertirei più. Ecco perché non ci uccideremo mai>>). Bene e male non si escludono, si completano: Nolan non concepisce la sopravvivenza del primo senza la presenza del secondo. Più che da Michael Keaton e Jack Nicholson, questi Batman e Joker ereditano il confronto da Hanna e McCauley di Heat: due poli opposti ma gemellari, che il regista lascia piroettare, inseguirsi e confrontarsi sulla scacchiera di un balletto mortale dalla concezione bergmaniana. A giudicarli è preposto il vero eroe di Gotham, quel commissario Gordon si oscurato dal giganteggiare dei due rivali: ma a conti fatti in prima linea sulle strade violente da quando Batman era ancora una fobia embrionale, custodita nelle profondità di una grotta.
The Dark Knight è Il pendolo di Focault secondo Christopher Nolan. Gotham ne rappresenta il punto geometrico, irreale e fittizio. Immobile e ultraterrena, l’autorigenerante Gotham consente agli elementi fisici di gravitarvi attorno. Batman contro Joker certamente, ma sopratutto Harvey Dent: parto deforme che, oltre a richiamare alla memoria ancora una volta Lang (“a metà” come Gloria Grahame de Il grande caldo), attraverso il suo rivelarsi doppio e malvagio giustifica l’intera scrittura dei fratelli Nolan.
Gotham città viene ristrutturata come complesso architettonico anch’esso milleriano: se la Sin City di Miller/Rodriguez poggia le sue fondamenta sulle morti violente, la Gotham di Nolan/Miller – come del resto la Detroit di Verhoeven/Miller – è costruita sulla corruzione: il todo modo che ne garantisce l’avida stabilità.
Joker, predicatore del caos, minaccia di utilizzare la sua visione terrorista contro Gotham subito dopo averne manomesso l’organo nevralgico (il denaro). Al guanto di sfida minacciate rivoluzione e collasso la cattedrale dal color della pece risponde presente e si ribella, asservendo i simboli cittadini al destino scritto nell’asfalto e corrompendo quello che una volta voleva diventarne paladino senza macchia («O muori da eroe o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo»).
Alle maschere sulla scena non resta che adattarsi al volere sovrano di Gotham – la Metropolis di Christopher Nolan - salvandole l’onore ricorrendo a una bugia.
Il caos è scongiurato, la rivoluzione repressa, l’ordine ristabilito. Tutto è come prima.
Il giustiziere viene esiliato, un nuovo delinquente è eletto ad eroe e salvatore: immagine di una giustizia ricercata in quanto male minore, necessaria perché menzognera. Biforcuta come le due facce che in fondo la rappresentano.