JOINT SECURITY AREA
REGIA: Park Chan Wook
CAST: Yeong-ae Lee, Byung-hun Lee, Kang-ho Song
SCENEGGIATURA: Seong-san, Hyeon-seok, Mu-yeong, Chan-wook, Sang-yeon
ANNO: 2000
A cura di Luca Lombardini
LA CALMA PRIMA DELLA VENDETTA
Park Chan–wook è uno di quei
registi che potremmo definire “generazionali”, una di quelle figure
in grado di catalizzare l’attenzione di migliaia di cinefili militanti,
gli stessi che da sempre si sporcano mani e svuotano portafogli tirando via le
ragnatele dai polverosi scaffali delle videoteche più sordide, gli stessi che
affollano blog e forum specializzati, gli stessi che intasano l’hard disk
del proprio computer scaricando da internet film altrimenti irreperibili. Park
Chan-wook è l’erede inconsapevole di una tradizione orientale mai come
negli ultimi anni così colonizzatrice, un progressivo mietere proseliti e
scatenare fanatismi che iniziò con Zhang Yimou, proseguì con John Woo e si
rinnovò nell’elezione di Kitano prima e nella scoperta di Tsukamoto e
Miike poi. Park Chan–wook è e resta tutto questo, ma è anche e prima di
tutto, un autore, un grande autore. Autore nel senso classico del termine,
colui il quale porta avanti la sua opera come se fosse un percorso lineare,
dove si possono ritrovare tratti, segni e simbologie distinte e riconoscibili.
L’Italia (ma questa non è una novità) l’ha scoperto tardi, e come
spesso gli accade in maniera invertita: licenziando nei cinema il secondo
capitolo della sua presunta trilogia sulla vendetta, prima ancora che il primo
film dedicato al sentimento primordiale facesse capolino da noi, per esser poi
destinato alla sola fruizione domestica.
Da quando ha sconvolto la passerella di Cannes, il suo nome si è tramutato in
una sorta di password indispensabile alle conversazioni d’essai, diventa
quindi quasi necessario ripartire da dove Park aveva iniziato, cercando di
capire cosa è cambiato e cosa invece e rimasto uguale nel suo modo (comunque
personalissimo) di raccontare storie, crude, acide, ma pur sempre storie.
A prima vista, J S A può sembrare un
legal thriller dall’ambientazione militare, ispirato a nomi di punta del
mercato americano (Codice d’ onore
tanto per dirne uno) e ricco di sparatorie, grandi spazi e molti personaggi,
amalgamati al meglio in una struttura complessa, non priva di un certo
retrogusto romantico. Ma sotto la superficie di ammiccamenti e
spettacolarizzazioni (a dire il vero abbastanza sobrie), pulsa un cuore di
tenebra tutt’altro che convenzionale, fatto di rapporti impossibili,
incomunicabilità forzata e fratture ideologiche millenarie. Il casus belli che
muove le fila della trama è il mistero che aleggia sulla presunta aggressione
avvenuta in seguito ad uno sconfinamento dei confini militari, che rischia di
causare gravi problemi al già fragile equilibrio che divide le due coree. Su
questo canovaccio, il regista si muove con maestria tra gli obblighi di
produzione, e gli sprazzi della sua ancora vergine poetica, tesa ad evidenziare
le pecche di un nucleo di uomini sottomessi ai rigidi dettami militari.
L’ossessiva ricerca della verità, che diviene conseguenza burocratica e
legale dei fatti, ci viene mostrata da subito come impresa utopica,
l’espediente del fuori campo infatti, utilizzato per suggerire allo
spettatore la scena clou, assomiglia più ad una forma di rassegnazione che ad
un tecnico espediente cinematografico. J
S A è una pellicola che ha come colonna portante la descrizione di
un’amicizia casuale, ma non per questo meno necessaria, quindi più
difficile, impossibile e naturalmente recisa nel momento in cui andava
rafforzandosi; un po’ come l’amore sincero ma innaturale di Old Boy. I sentimenti veri e spontanei
d’altronde, non possono sopravvivere sotto la cortina delle dicotomie
politiche, che dividono il mondo tra bastardi comunisti e nemici dei bastardi
comunisti, possono solo rimanere nascosti nel doppio fondo del cassetto
segreto, custoditi assieme ad altre emozioni pericolose e per questo
irrivelabili, le stesse che riempiono gli occhi algidi e distaccati di
Soo–hyun e Kyung–pil. Park tutto questo lo sa e procede dritto per
la sua strada, estremizzando gli opposti e indugiando quel tanto che basta sul
frammento di pellicola che sta alla base del film: due anfibi militari che si
sfiorano sulla soglia di una grata di scolo, divisi per sempre da un confine
(in)visibile, cementato da stereotipi che vanno al di la di qualsiasi tregua
tra esseri umani ragionevoli. I muri di gomma che costringono alla solitudine
le anime dei protagonisti avvicinano J S
A a Sympathy for Mister Vengeance,
rendendo i due film quasi gemelli. Entrambi infatti evidenziano due grandi
problemi sociali delle due coree d’oggi: il conflitto di classe (Mister
Vendetta) e il conflitto ideologico che ha portato alla divisione della nazione
(J S A).
Le indagini sul corretto svolgimento dei fatti incriminati scolano via insieme
alla pioggia, tra le fessure della grata, lasciando il posto al ricordo di
vicende rimosse, come le origini svizzero – coreane di una dei due agenti
inviati sul luogo. J S A è il primo
tassello della formazione di una sensibilità che da lì a qualche anno diventerà
famosa in tutto il globo, e allo stesso tempo la conferma di come si possa
trarre da un film sulla carta di cassetta, una morale niente affatto comoda e
consolatoria.
Il nostro lavoro di recupero lo abbiamo nuovamente portato a termine, ora non
ci resta che sederci in sala e aspettarci l’ennesimo capolavoro, almeno
fino all’ascesa di un altro messia della macchina da presa. Previsioni?
La sfera di cristallo ancora non l’abbiamo, ma personalmente punterei
ancora il cannocchiale ad est…
(04/01/06)