LA CASA di Fede Alvarez
REGIA: Fede Alvarez
SCENEGGIATURA: Fede Alvarez, Royo Sayagues
CAST: Jane Levy, Shiloh Fernandez, Lou Taylor Pucci, Jessica Lucas
ANNO: 2013
NAZIONALITÀ: USA
TITOLO ORIGINALE: Evil dead
USCITA: 8 maggio 2013
SANGUE: DALLE LAMPADINE ALLE PIOGGE
Evil Dead di Sam Raimi, autentico capolavoro degli ultimi decenni, è un film destinato a non invecchiare mai per il suo essere densamente pieno di trovate ed invenzioni, oltre ad essere manifesto più evidente della caméra-stylo di astruchiana memoria, con l’autore che arriva a riconoscersi ed immedesimarsi nella forza motrice (e distruttrice) della pellicola, ovvero il male invisibile ed astratto che si trasmuta nella macchina da presa stessa, e quindi nel regista sadico ed onnipotente, spietato demiurgo pronto a trucidare le sue povere vittime.
In questo tentativo di revival prodotto da Raimi stesso, viene convocato l’esordiente Fede Alvarez, e per quanto le basi di partenza sembrerebbero essere le stesse dell’originale datato 1981, l’approccio è certamente cambiato, basti vedere che la componente ludica della prima versione viene pressoché annullata per darsi un tono di presunta serietà. Così, viene inserito il pretesto della disintossicazione nonché la presenza di una figura fantasmatica a metà tra Samara e una black metallara satanista. Il resto è un’infinita carrellata di splatter e gore come se non ci fosse un domani (ma il red band trailer ci aveva preparati, forse addirittura illusi), tra schifosissime vomitate di sangue e putridi slinguazzamenti. Alvarez ha una visione abbastanza sporca per accontentare i fanatici del genere, nonché una gestione del ritmo che non lascia un attimo di tregua: La casa, nel suo essere un continuo attacco di brutalità e fetore, ha la compattezza di un horror aggressivo che sembra non sprecare un minuto della sua durata. Il remake è tutto qui, nè più nè meno: la goduria di un’esibizione di carni macellate e sadismo auto-imposto, strappando momentaneamente il primato al nuovo horror francese, di cui però non ha la disturbante e macabra malattia (pensiamo a Martyrs), la capacità di andare oltre la superficie meramente grafica. Chi si accontenta gode; ma chi non riesce a smettere di confrontarlo con l’originale (ma ha davvero senso essere così nostalgici?), sappia che in questo remake, alla fine dei conti, sono più le cose che si sono perse rispetto a quelle che si sono guadagnate.