LA PASSIONE di Carlo Mazzacurati

REGIA: Carlo Mazzacurati 
CAST: Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Corrado Guzzanti, Kasia Smutniak 
SCENEGGIATURA: Carlo Mazzacurati, Umberto Contarello, Doriana Leondeff, Marco Pettenello 
ANNO: 2010

VENEZIA 2010: ITALIA (È) ZERO.

Uno degli effetti nocivi dell’atmosfera Veneziana è il ridere forzato: un film che non svii subito nel dramma è preso come oro colato, oracolo verso cui sbavare risate, risate assenti di chi non è veramente presente, preso da qualche ebbrezza data dal non doversi dare a una tragedia cinematografica, approfittando di una goliardia generale. Sbrodolarsi addosso per un’illusione di leggerezza, tra un russo e un polacco desolati e desolanti. La Toscana. La crisi professionale avanzata. I danni da riparare, ad un affresco, a una comunità.

Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Corrado Guzzanti: ossia un tris di jack, ognuno immobile nel suo stile.

La passione è (narrazione di) un fallimento (spirituale). Inizia con un messaggio di segreteria da soggettista a regista in cui vengono elencati un paio di spunti vaghi e incompleti, a loro volta cagati e non redatti, pare di fretta, dagli effettivi sceneggiatori del film; in pura meta-description questo è quel che è abbiamo (avremo) davanti: un abozzo pseudotragicomico che inizia, ristagna, e non finisce, ma rimane fangoso e colloso addosso a personaggi sparati verso un grado minimo di crescita, elaborazione, interpretazione – quando si dovrebbe trattare di liberazione, ascesi, espiazione, trattati invece come risultati di semplici addizioni. 

Ideale Toscana per prostituzione turistica, per paesaggi svenduti e banale accostamento sentimental-topografico, per far facile “luogo dell’anima” in cui non c’è nulla e, appunto, rimane solo da ritrovarsi. Come le gitarelle in Africa dei figli di papà.
Ideale seguire un regista cinematografico, come a richiamare immediata autoriflessione, anche se poi di Cinema non si parla e si va a par(l)are di teatro non professionale (non ultima distrazione bobochic anch’esso).
Ideale porre incapaci contro tiranni.
Ideale rurale di messa in scena sacra e pasquale, come ereditario del feticismo convulso di Pasolini per il provincialismo cronico.
Ideale: inattuabile senza un processo. 

Silvio Orlando, che proprio un cavallo da corsa non è (ma un “tipo”) è teso nel parodiare se stesso (più che del solito fallimentare, siamo nel post-sconfitta totale ed irrecuperabile), ma Mazzacurati non gli dà nemmeno la minima strumentazione necessaria per farlo avviare verso i suoi scleri, la sua melanconia genetica, le sue smorfie da gufo triste vecchio smunto; e dai suoi occhi (non) traspare un vuoto.
Guzzanti che si ritrova a reinterpretare un suo personaggio trapiantato di peso da Boris è l’apice di tutte le mancanze de La passione, che di idea non ne ha nemmeno una, inseguita o trascinata: ha solo dei cocci senza (ispir)azione, e suona solo come un furto.
Battiston ha sempre i capelli unti. 

La passione non ha identità, non ha anima: senza decidere in quale misura essere comedy, drama, dramedy, si arresta in un ibridino cupo e asessuato (una donna coi baffi, un uomo con le tette) che non ha né contaminanti né contaminati, ma solo vezzi da polvere stantia culturale (nell’accezione stanca e muffita del termine). Ariosa in quanto vuota, pesante in quanto irrispettosa, la negazione assoluta del concetto di profondità. Mazzacurati da portare al banco degli imputati per inosservanza cinematografica e mancata cura del proprio film, che a tutti gli effetti è sottosviluppato, quasi il suo autore volesse fuggirne, o in una rotta incorreggibile.

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