LADY SNOWBLOOD di Toshiya Fujita
REGIA: Toshiya Fujita
SCENEGGIATURA: Kazuo Uemura, Kazuo Koike
CAST: Meiko Kaji, Toshio Kurosawa, Masaaki Daimon
ANNO: 1973
NAZIONALITA’: Giappone
TITOLO ORIGINALE: Shurayukihime
FAR EAST FILM FESTIVAL 2005 REPORT: E SI SCOPRI’ CHE KILL BILL E’ PURA CIOFECA
Mi è personalmente difficile pronunciare anche qui, come se non fosse già abbastanza, il nome di quel regista ormai rockstar che corrisponde al nome di QuentinTarantino (si, lo stesso dei tanti Special Guest Director, Presented by, ecc..).
Tarantino, che da questo momento chiamerò semplicemente “Signor Pirla”, ha infatti abusivamente copiato, o meglio dire storpiato, Lady Snowblood di Toshiya Fujita per farne il suo Kill Bill Volume 1. Che nel Cinema da sempre si coppi e ricoppi è palesemente scoperto, ma trovare nella stessa situazione la stessa inquadratura, la stessa battuta, e pure la stessa canzone diventa indigeribile.
Ma ciò sta solo a significare la forza emotiva che si trascina ancora oggi, 28 anni dopo, l’opera di Toshiya Fujita. A rendere forza al dramma è il grande uso della fotogenia attoriale, colta in primissimi piani nel fulcro della piena ebollizione di rabbia e disperazione.
Lo slasher è puro contorno, addirittura cavallo già provato e riprovato della nuova exploitation di violenza tra i giovani registi giapponesi dell’epoca; Fujita capisce che per dare fuoco alla vendetta che intende raccontare non basta più il sangue splashato ovunque, né l’aria iconografica che si intende ormai (ri)chiamare come pseudo-cool, ma è necessario qualcosa che va oltre la vista degli occhi per rendere partecipe gli spettatori nel girone infernale. Ed è così che basa la sua narrazione su semplici inquadrature ravvicinate, formando con la propria direzione una fotogenia che riesca a bucare lo schermo con due occhi.
Proprio come la protagonista Meiko Kaji è ormai robot paralizzata dal proprio destino di vendetta, gli attori dell’opera sono puri manichini agghiaccianti nelle mani diFujita, e utilizzati per lo shock psicologico proprio per il loro essere così disumani.
Quel che conta in Lady Snowblood non è quindi, come a prima vista potrebbe sembrare, la carne e il sangue, bensì il cuore e i sentimenti, circondati da un odio ambiguo che probabilmente non renderà mai chiara la grande mappa emotiva dell’opera Lady Snowblood. La macchina da presa, che segue le lame affilate mentre tagliano i corpi sfracellati, si addentra laddove l’occhio non tocca più, perché il regista è grandiosamente falso nella sua estetica visiva, in quanto la vera spada proviene direttamente dallo stomaco, ed è un qualcosa che affonda nell’estetica per addentrarsi in un livello di significazione puramente ego-spirituale.
E al contrario dell’ultimo pirla venuto (Q.T), il senso del vigore stilistico e tematico di Lady Snowblood s’è mantenuto anche negli attuali grandi del Cinema giapponese quali Takeshi Kitano e Takashi Miike, dove la violenza visiva non è altro che parte successiva di una violenza interiore ben più grande, uno stupro dell’anima che rende l’opera cinematografica come puro attacco artistico tra le vene e le ripulsioni del sangue.
E non basta copiare le inquadrature, le battute, e persino la canzone per avere questo vigore.