THE LEGEND OF ZORRO
REGIA: Martin Campbell
CAST: Antonio Banderas, Catherine Zeta Jones, Adrian Alonso
SCENEGGIATURA: Roberto Orci, Alex Kurtzman
ANNO: 2005
A cura di Pierre Hombrebueno
ZORRO, DATTI ALL'IPPICA!!!
Sinceramente non so cosa diavolo mi sta portando a scrivere la recensione di un
film che sappiamo tutti (a priori e anche prima che uscisse la pellicola) era
destinato al fallimento.
Però, lo ammetto, per i primi 10 minuti ho creduto in Dio e nel miracolo che
l’opera di Martin Campbell potesse realmente essere interessante.
Infatti, il primo impatto con le scene, in quell’ambientazione
mex-spanglish con gli oppressori del popolo inquadrati con dettagli sottili
sugl’occhi a delinearne l’iconografica villanità, riesce a
ricordarci quel grande(grandissimo) Sergio Leone e i suoi western più selvaggi.
E il cattivo di turno, cicatrizzato dal segno di Dio, possiede quella carica
estetica da perfetto bastardo.
Un ritorno agli spaghetti western mascherato dietro un pop-corn movie? Dentro
il cuore comincio a piangere (di gioia).
Ma poi, nel giro di un nano secondo, Campbell cambia registro. E cazzo, non
credevo che Zorro, oltre ad essere appunto Zorro (ed alter-ego), fosse anche
una nuova (re)incarnazione di Li Mu Bai: i suoi salti lievitano in aria come
voli sospesi, e per un momento ci sembra di trovarci in pieno territorio
wuxiapian, e perdio, è sempre stato il mio sogno vedere uno spaghetti western
wuxia.
Nuovamente, piango dentro il cuore (di felicità).
Per un attimo mi auto-insulto: “Vedi Pierre? Non bisogna avere
pregiudizi. Campbell è geniale”.
Ma ancora pochi minuti, e nuovamente mi auto-insulto: “Cazzo Pierre
c’avevi ragione fin dal principio, Campbell è proprio un pirla. Come hai
potuto credere che potesse fare un buon film?”.
Si, perché passato l’incipit, il mostro mostra il suo vero volto. Addio
sogni iniziali, The Legend of Zorro rivela tutta la sua anonimia, dove si
dimentica la macchina da presa e la sua potenzialità: non vedremo più
un’inquadratura interessante fino alla fine del film (e ci sono ancora
più di 100 minuti ad andare, quindi potete cominciare a riflettere ed
immaginare su come ho cercato di sopravvivere arrampicandomi sui soffitti della
sala).
Veloce ed indolore sembrerebbe essere il motto di Campbell. In fondo sa che
tutti gli spettatori che si precipiteranno in sala saranno lì per sbavare sui
muscoli di Antonio Banderas e le forme di Catherine Zeta Jones, così li
accontenta senza problemi: ecco la scena dove Banderas esce nudo dai cessi
pubblici, mentre la Zeta Jones, man mano che va avanti il film, porta vestiti
sempre più scollati.
Ogni componente puramente cinematografico viene a mancare in quest’opera:
Una semiologia che possa rendere intelligente la costruzione della messa in
scena che si discosti dalla parola pop corn, un’estetica e una minima
concezione del dinamismo spaziale, e soprattutto, un livello etico e di
significazione che dia all’opera almeno un motivo per esistere. Perché è
questo il dramma di The Legend of Zorro: non ha praticamente motivo di esistere
(tranne chiaramente i sacrosanti soldi), e Campbell è un regista che non ha
assolutamente nulla da dire e da comunicare.
Torno a (ri)vedere i vecchi Leone e Wuxia va. E anche Indiana Jones.
(13/11/05)