LES MISERABLES di Tom Hooper

REGIA: Tom Hooper
SCENEGGIATURA: William Nicholson, Alain Boublil, Claude-Michel Schönberg, Herbert Kretzmer
CAST: Hugh Jackman, Russell Crowe, Anne Hathaway, Amanda Seyfried, Eddie Redmayne, Helena Bonham Carter, Sacha Baron-Cohen, Samantha Barks
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2012
USCITA: 31 gennaio 2013

QUI DOVE CADONO LE EMOZIONI

«WHEN THE BEATING OF YOUR HEART
ECHOES THE BEATING OF THE DRUMS
THERE IS A LIFE ABOUT  TO START
WHEN TOMORROW COMES.»

Opening ad ampissimo respiro e magniloquenza anche nella terribilità del suo ergersi a rappresentazione dell’arrancare di un intero ceto, spostati derelitti che si agitano tra legno e bandiere stracciate; pare un momento catapultato da uno squarcio di tela tonitruante e furiosa di Delacroix. E chiusura che incide e staglia i protagonisti a mo’ di altorilievo, disposti verso l’orizzonte, incontro ai posteri e alla speranza delle nuove generazioni, fisicamente ancora fermi a metà strada ma spiritualmente già oltre gli sche(r)mi.

Sono le uniche vedute di massa en plein air che Les Miserables si concede: nel restante arco di tempo è unicamente percorso da singoli e minimali paesaggi interiori, primi e primissimi piani, compatti e rigorosamente inchiodati l’uno dopo (e al)l’altro, a forgiare una coralità continuativa e capillare.
Un’opera lirica sotterraneamente tellurica nella sua fissa coesione di volti e parole, i cui personaggi si danno il cambio su e giù da una giostra canora in presa diretta che li porta uno per uno sotto un fascio di luce denudante, ad accendere le sbavature e impreziosirne le imperfezioni stilistiche, sovrimprendendo visivamente l’umanità; un tour de force divistico che ben intreccia la beltà estetica allo sforzo propagantesi dalle corde vocali e le pieghe degli occhi, come nel caso del crudissimo esploderci contro anima e corpo della Hathaway.

I miserabili di Hugo, opera riassuntiva di un secolo e delle pulsioni interne e identitarie di una classe sociale in emersione, abbecedario di ascesa e caduta di un uomo e cartina di tornasole sociopolitica di un’epoca, opera passata poi al vaglio di un musical esplosivo e trascinante, ritornando al cinema si scompone in atti individuali, riassunto fluviale di un sentire collettivo. Erompendo da ogni fremito e sospiro degli interpreti e cedendogli da capo a gola la scena, a sorpresa Tom Hooper riesce finalmente a parlare per immagini, a distillare il ruzzolar di note nel punto in cui vi si frappone l’emozione, con il giusto dosaggio ed equilibrio: il vicolo scuro diventa parete inconscia e grotta di un mostro esterno ed interno per Fantine, il muro ripido e sottile su cui avanza a fatica il frastornato Javert (Crowe, dall’ugola, soprattutto all’inizio, francamente imbarazzante) per la prima volta in bilico tra la retta via che il suo ruolo gli propugna e le sconvolgenti rapide che lo attirano al di sotto dopo lo scombussolante gesto di pietà di Valjean.
E il tocco si fa poi lieve quanto la pioggia quando a little fall of rain basta per un ultimo sfiorire/sfiorarsi d’amore, o gli empty chairs and empty tables fanno sanguinare lo sconforto di un’alba vuota sulle spalle impotenti del bonapartiano Marcus. Hooper frena dunque il suo impulso d’imposizione registica sbilenca fagocitante e (im)bizzar(rit)a con cui aveva un(i)to i puntini logici del Discorso del re, qui preposto al servizio degli attori senza perdere di misura né di personalità.

E per quanto la sterminata estensione operistica di Les Miz lo porti a diventare nella seconda (ma pare la quarta) parte un colosso faticoso da reggere, otturato dalla durata da palcoscenico, e, nell’epilogo, da una valle di lacrime mal supportata dall’insistente (benché letterariamente necessaria) presenza comico-sdrammatizzante della coppia Bonham Carter & Cohen – per gentile concessione di Burton -, nonostante tutto rappresenta per Hooper un buon passo avanti. Chapeau a lui, insomma, disonore immane all’idea infelice ancorché davvero miserabile di doppiare circa 35 secondi su 157 minuti di durata.

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