LIVIDE di Alexandre Bustillo e Julien Maury
REGIA: Alexandre Bustillo e Julien Maury
SCENEGGIATURA: Alexandre Bustillo e Julien Maury
CAST: Béatrice Dalle, Catherine Jacob, Marie-Claude Pietragalla
NAZIONALITÀ: Francia
ANNO: 2011
«GLI OGGETTI INANIMATI COME MEZZO PER ESPRIMERE LE EMOZIONI UMANE. QUESTO IL È LINGUAGGIO DEL CINEMA.»
UOMO NEL BUIO, PAUL AUSTER
Dario Argento è resuscitato. (ri)Vive in Francia sotto mentite spoglie, spostandosi grazie a documenti contraffatti: Bustillo e Maury. Così è scritto sul nuovo passaporto. À l’intèrieur, punto artisticamente di massima fin qui toccato dall’orrorifica nouvelle vague francese, trova in Livide il suo naturale proseguo, dimostrando ancora una volta quanto il movimento transalpino in questione debba all’italico cinema di genere e, al tempo stesso, come attualmente certe tipologie di film si confezionino a dovere solo d’oltralpe; da un po’ di tempo a questa parte terra promessa, mecca, nirvana, assicurazione di qualità e serialità. Merito dell’improvvisa affermazione su scala mondiale di una generazione da maneggiare con cura, fiori sbocciati a macchia di leopardo, nell’elenco dei quali Bustillo e Maury meritano, senza ombra di dubbio, una posizione privilegiata, al pari dei vari Alexandre Aja, Fabrice Du Welz, Franck Richard e Pascal Laugier. Martyrs, Frontiers e, per l’appunto, À l’intèrieur: questa la pietra angolare sulla quale poggiano credenziali e giovane storia di riconoscimenti critici che rimandano alla nuova ondata in questione, una legittimazione che certifica l’importanza del binomio Bustillo e Maury, assieme a Du Welz i cognomi d’attitudine e capacità maggiormente dotati rispetto ai colleghi appena citati. Meno slasher e decisamente più favola nera se (inevitabilmente) paragonato al suo illustre predecessore, Livide rintraccia in Suspiria il suo mai nascosto punto di riferimento, non risparmiandosi però accelerazioni furiose degne del miglior Lucio Fulci. Ciò che maggiormente stupisce della premiata ditta Bustillo e Maury, ormai qualcosa di decisamente più concreto e meritevole di attenzione/considerazione rispetto ad una qualunque next big thing da copertina, è la capacità, mai stucchevole, di miscelare maniera e personalità, un equilibrio che consente al duo di chiamare in causa i vari Argento, Polanski, Clive Barker e John Carpenter, senza per questo precludersi lo scopo metaforico che lega À l’intèrieur a Livide: ovvero la reiterata riflessione sulla ruolizzazione madre-figlia/o, allestita attorno al desiderio stesso della maternità, configurandone derive possessive e gli insiti rischi aliena(n)ti. Parimenti agli innegabili pregi, Livide concede il fianco ai detrattori abbassando ancora una volta la guardia intorno a cronici difetti, capaci di caratterizzare non solo l’opera seconda di Bustillo e Maury, quanto la produzione tutta dell’intero movimento battente bandiera francese: sceneggiatura esile, raccordi di trama di certo non a prova di bomba, ellissi il più delle volte ben oltre il limite del rischioso. Potenziali incongruenze ad un passo dal trasformarsi in filosofia d’azione quindi, a voler esagerare sospetto dogma di concezione cinefila che, a conti fatti, non torce un capello e poco o nulla toglie ad una pellicola fotografata come meglio non si potrebbe da Laurent Barès, magistrale nel catturare l’anima dark che direttamente rimanda a Mario Bava, ribadendo, a braccetto con i lussureggianti movimenti di macchina, la forza dinamitarda di un cinema sì scarno e magari imperfetto, ma al tempo stesso magistrale nel giostrare a suo piacimento tanto con l’archetipo, i topoi, le luci, gli spaventi, gli azzardi e le follie, quanto e sopratutto con gli oggetti inanimati propri di un genere che, finalmente, rivive in tutta la sua paranoica e sognante messa in scena.