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Lupus in fabula: IL CACCIATORE DI DONNE di Scott Walker

il cacciatore di donne (3)

REGIA: Scott Walker
SCENEGGIATURA: Scott Walker
CAST: Nicholas Cage, John Cusack, Vanessa Hudgens, Katherine LaNasa, Dean Norris, Kevin Dunn
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 2013

Si dice che un libro non vada mai giudicato dalla copertina, che l’abito non fa il monaco, che l’apparenza inganna. Allo stesso modo, l’opinione verso un film non andrebbe condizionata dal suo incipit, ma è altrettanto vero che una narrazione che si apre con l’altisonante (e parecchio sfruttata) citazione biblica “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi” (Matteo, 10:16,22), qualche dubbio sui toni retorici e pretenziosi di ciò che mette in scena lo insinua.

Questo Cacciatore di Donne (Frozen Ground) di Scott Walker, oltre che essere ennesimo obbrobrio delle titolazioni italiche, fa parte dell’innumerevole schiera dei film hollywoodiani sui serial killer: da capolavori come Zodiac di David Fincher o S.O.S Summer of Sam di Spike Lee, passando per gemme non mainstream come Henry Pioggia di Sangue di John McNaughton e miriadi di titoli assai più trascurabili, il cinema americano ha spremuto la tematica assassino seriale fino al midollo e in ogni declinazione. Dall’ottica del villain piuttosto che da quella delle vittime, con pellicole crudissime oppure edulcorate, il serial murderer è sempre garanzia di incassi, specialmente in periodi di crisi, sia economica che soprattutto di idee. Ecco dunque arrivare in soccorso i fatti realmente accaduti, la storia vera da cui trarre spunto e ispirazione.

Frozen Ground si basa sulla figura di Robert Hansen (interpretato da John Cusack, efficace nel ruolo dello psicopatico), responsabile del rapimento e dell’uccisione di almeno 17 donne (accertate, potrebbero essere di più) tra il 1971 e il 1983 ad Anchorage, Alaska. Nel film, così come nella realtà, Hansen è in apparenza cittadino modello, padre di famiglia, un insospettabile: non è impresa facile dimostrare la sua colpevolezza, nonostante la presenza di una testimone, la giovanissima prostituta Cindy Paulson (l’ex Disneyana evolutasi a Spring Breakers Vanessa Hudgens), poiché la parola di una sbandata non vale nulla, contro un uomo perbene. A difendere la ragazza e dare la caccia ad Hansen scende in campo il detective Jack Halcombe (Nicholas Cage) il quale, nonostante sia in procinto di ritirarsi dal corpo di polizia (classico clichè) non può fare a meno di portare a termine “l’ultimo e determinante incarico”.

La pellicola segue patterns visti troppe volte, ed è smaccatamente ruffiana nel tratteggiare il legame paternalistico tra Halcombe e Cindy: la prostituta poco più che bambina dall’infanzia difficile che, come per magia, butta giù la corazza di fronte al detective, che le offre, per la gioia dello spettatore empatico, la sospirata possibilità di redenzione; la giovincella però è ribelle, fugge più volte tornando dal suo pimp (interpretato dal rapper 50 Cent), regala al pubblico una performance di lap-dance (Spring Breakers non è stato girato invano, nel percorso di affrancamento Disneyano della Hudgens), per fare poi ritorno all’ovile, da buona pecorella smarrita. Il ritratto del killer resta nella media, standardizzato; più interessante è l’ostracismo della polizia nel difenderlo ostinatamente, rendendosi sua complice: anche questo però è concetto sicuramente non inedito, che non aggiunge nulla a una narrazione somigliante a tante altre.

Walker è al suo lungometraggio d’esordio, gira in modo diligente, senza impennate particolari, confezionando il classico prodotto su misura, ad uso e consumo di pubblico e botteghini. Buono il cast, con comprimari efficaci (Dean Norris e Kevin Dunn), e l’accoppiata Cage/Cusack, già vista in Con Air, che si rivela nuovamente funzionale. Il film è in ogni caso dominato dalla Hudgens, che occupa l’80% delle inquadrature, tra espressioni attonite, pianti e trucco sfatto.

Frozen Ground si colloca dunque nello schedario delle pellicole a tema, fatte in serie, come gli omicidi dei killer di cui parlano: senza infamia né lode, si lascia guardare passivamente, nel suo essere prodotto fragile e privo di personalità.

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