MARY

REGIA: Abel Ferrara
CAST: Matthew Modine, Juliette Binoche, Forest Whitaker
SCENEGGIATURA: Simone Lageoles, Mario Isabella, Abel Ferrara
ANNO: 2005


A cura di Luca Lombardini

L’ULTIMA TENTAZIONE DI ABEL

La Passione secondo Ferrara: fermo immagine della rituale rappresentazione del sacro, immortalata nell’inevitabile incontro con l’umano profano. Il cattolico regista italo-americano, mette in scena il suo personale dialogo con la figura del Cristo, optando per la decostruzione dei diversi modi di vedere, vivere e sentire la fede, che vengono contrapposti all’ortodossia storica portata sullo schermo da Mel Gibson. Operazione coraggiosa e come sempre senza mezze misure quella del prode Abel, più che un film una bomba ad orologeria con un triplice timer, che esplode con chirurgica precisione attraverso l’interpretazione dei tre protagonisti, e più precisamente, nel momento in cui la rilettura apostolica della figura di Maria Maddalena si scontra con la visione atea e distaccata del cineasta Tony Childress e dell’anchorman Ted Younger.
Proprio la Binoche è il motore trainante dell’intero meccanismo narrativo messo in atto dal regista: la sua Mary infatti, si trasforma da prostituta pentita in discepola prediletta, un po’ seguace un po’ compagna del Messia, prendendosi così la meritata rivincita sulla storia, la stessa che l’aveva estromessa perché, come Eva o Pandora, colpevole di essere donna. Il suo rifiuto per le luci della ribalta newyorkese e l’inizio del suo viaggio spirituale a Gerusalemme, permettono a Ferrara di tornare a confrontarsi con la sua amorosa ossessione verso la religione, tema questo che aveva già caratterizzato Occhi di serpente prima e Blackout poi.
Se il film religioso è un genere cinematografico come tanti altri, Ferrara vi approccia con il consueto fare terrorista, lo stesso che gli permise di terremotare il poliziesco (Il cattivo tenente) e destabilizzare classici miti horror (The addiction); lungi dal voler moralizzare o catechizzare chicchessia, il cineasta si avvicina alla delicata materia in questione cercando di indagare tra le pieghe dell’animo umano, nel momento in cui il cuore e la mente di un qualsiasi individuo decidono di rivolgersi all’immagine divina. All’interno di questo personale colloquio, non c’è spazio né per le esasperate lacerazioni gibsoniane, né per gli intrecci avventurosi de Il codice Da Vinci: quello che più sta a cuore a Ferrara infatti, è la messa in scena del dialogo tra condizione terrena e la visone ultraterrena di un essere superiore. L’interesse agnostico del personaggio di Forest Whitaker, e l’ideologia ateistica di quello interpretato da Matthew Modine (ancora lui, proprio come in Blackout), fanno da contro altare alla ricerca mistica e trascendente della fuggitiva Mary, palesando i motivi che oggigiorno, portano a trovare conforto nella fede e nelle preghiere, con Cristo che diventa l’ultimo drappello di speranza al quale aggrapparsi nei momenti disperati della propria esistenza (la supplica mista a lacrime di Whitaker) o, nel peggiore dei casi, il miglior escamotage pubblicitario possibile per consacrare nell’olimpo della settima arte il nome di un regista indipendente sbruffone e perennemente in occhiali scuri (Questo è il mio sangue, il film nel film diretto e interpretato da Modine). Le atmosfere buie accarezzate dalle tonalità color viola livido, altro non sono che la rappresentazione filmata e fotografata delle moderne miscredenze del mondo che ci circonda, dove per una Mary, ci sono milioni di Childress e Younger pronti a tutto pur di vendere un biglietto in più o di rosicchiare un punto di share.
Teniamocelo stretto Ferrara, a conti fatti, uno dei pochi registi italiani (anche se per adozione) in grado di saper dire ancora qualche cosa che valga la pena di ascoltare e vedere.

(15/08/06)

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