MEDUSE

REGIA
: Etgar Keret, Shira Geffen
SCENEGGIATURA: Shira Geffen
CAST: Sarah Adler, Nikol Leidman, Gera Sandler
ANNO: 2007


A cura di Davide Ticchi

GLI AUTOBUS DI NOTTE

I sottili e traslucidi tentacoli delle meduse sono soliti ondeggiare fra le profondità di abissi insondabili e inespugnabili. Liberi di colmare i piccoli spazi che normalmente l’acqua riveste con la sua grossa e incurante massa liquida, sfumano fra le profondità di un mondo naturale al quale l’uomo, solo di rado, fa caso. Il rischio è quello di arenarsi, tanto delle balene quanto di queste tondeggianti specchiere dei segreti appartenenti ad universi ignoti e meravigliosi. Coricate sulla sabbia bagnata e piatta come se fosse stata appena asfaltata, addirittura lei, riposano i propri organi, espressione di una bellezza pallidamente perlacea.
Così, i piccoli eroi del film di Etgar Keret e Shira Geffen sono biologicamente tanto complessi e sublimi da destinarsi alla quantità di spazio preposta, oggi, alla infinita bellezza dell’esistere, ovvero minima e ristretta. Spazio angusto e sfinito quello asciutto del mondo sociale, che non si differenza tanto per aspetto e divenire, quanto per autocoscienza. Il primo sembra a tutt’oggi intriso di immacolata lucentezza e speranza, il secondo deturpato dai torti più o meno evidenti che si commettono ogni giorno, ai danni dei nostri stessi simili.
Tel-Aviv. Quanti sorrisi infantili rabbuiati, quante gioie materne abortite, quanta irreversibile solitudine nell’anima, quanti nuovi amori all’ombra di fronde dell’incomprensione. Meduse assorte nel loro pesante e al tempo stesso incorporeo movimento, meduse vinte dai prepotenti. Meduse che non sanno cosa vuol dire arrecar danno, ma che conoscono fin troppo bene i suoi effetti. Meduse come i piccoli film d’autore che escono sotto gli occhi chiusi di tutti, troppo intenti ai progetti grandiosi dell’esistere, conclusi in un grande bluff, in un grosso inganno.
Fare attenzione ai piccoli gesti, alle trascurabili manovre del misero vivere sembra per questi due registi quanto di più stimolante alla fantasia simbolica e poetica che ogni artista dovrebbe possedere. Il sapersi esprimere con semplicità quando mancano i mezzi per poter osare di più, sapersi esprimere sempre dacché profondamente motivati, è qualcosa di sinceramente raro e invincibile. Questo film ne è la dimostrazione, come lo sono molti altri esempi anche più decisivi, ma pur nel suo farraginoso declivio, apporta un contributo che poste le sue misere risorse, vale doppio.
Come pretendere soldi da chi non ne ha? Troppo spesso questa domanda viene assimilata alla seguente: come chiedere aiuto a chi non ne ha nemmeno per sé stesso? Ebbene, questo film condivide la tesi secondo cui, spesso, chi non riesce ad aiutarsi è il primo candidato al soccorso del prossimo. Chi è sordo invece, dall’alto del suo marmoreo pulpito, saprà solamente sputare sentenze, rinunciando a calarsi giù dal torpore, per confondersi nella mischia bisognosa. Umile e dignitosa, fra le cui uni(ci) la mdp di Keret e Geffen si aggira con rispetto, senza secondi fini catechizzanti.
Racconti di dimensioni ridotte, dotati di una carica cromatica brillante e avvincente, vite di seconda mano.
Semplice e composta è la regia, che solo a tratti si concede alle velleità simbolistiche, culminanti nondimeno in un finale commovente. Bravi tutti gli interpreti, e una lode a Nanni Moretti, che ci dà la possibilità di entrare in contatto con certe “viscose” e dense esperienze cinematografiche.
Camera d’Or a Cannes 2007.

(25/11/07)

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