THE NEW WORLD
REGIA: Terrence Malick
CAST: Colin Farrell, Christian Bale, Q'Orianka Kilcher
SCENEGGIATURA: Terrence Malick
ANNO: 2005
A cura di Andrea Fontana
THE NEW MALICK
C’è un costante richiamo al riflesso nell’ultimo grande, stupendo
film di Terrence Malick. A
partire dalla prima sequenza, quella introduttiva,
prima dei titoli di testa, osserviamo il riflesso sull’acqua di
un’immagine incantata, per poi sentire la voce off della giovane
protagonista che recita il tema portante del film. È evidente, data anche la
trattazione concettuale dell’opera, di come il riflesso assuma un significato denso e particolare, che rimanda alla
visione dimenticata e pallida di un mondo puro, che
era e che non è più. The new world
racconta della morte di questo mondo, dell’innocenza che esso
rappresentava.
Dopo La sottile linea rossa, ultimo grande capolavoro del ventesimo secolo, Malick torna dopo sette anni
recuperando un progetto degli anni Settanta, del momento in cui si trovò ad
affrontare critica e pubblico per i suoi due primi lungometraggi: La rabbia giovane (1973) e I giorni del cielo (1978). Sicuramente
la sua ultima fatica è in linea con l’idea di cinema che ha perfezionato
con il film tratto dall’omonimo romanzo di James Jones, il bellico/metafisico La sottile
linea rossa, infatti The new world riprende due temi affrontati nel lavoro precedente, e
li esaspera nell’approfondimento ideologico. Queste tematiche
divengono struttura portante della pellicola stessa.
L’incontro fra
culture differenti e l’assorbimento (la distruzione) di una da parte
dell’altra era evidenziato ne La sottile linea rossa nel rapporto che Witt aveva
con i nativi del luogo prima e dopo la battaglia sanguinosa. L’amore,
affrontato attraverso la figura del soldato interpretato da Ben Chaplin,
trova nel rapporto fra la principessa Powathan e John Smith (e Rolfe
dopo) la sua prosecuzione ideale. Ed è l’amore
che apparentemente sembra essere l’assunto centrale di The new world, ma in realtà il nuovo Malick è il film che meglio ha saputo rappresentare la
nascita di una nazione e la morte di un sogno. Si pensi alla figura di Rebecca
(il nome che “Pocahontas” prese in
Inghilterra), vera e propria essenza di un ideale, di un sogno, di
un’innocenza sussurrata. Ella è simbolo di
purezza di terre incontaminate e semplici, fortemente spirituali. Non a caso la
giovane sarà destinata a morire, perché soccomberà la purezza stessa del sogno,
uccisa dalla materialità arrivista e capitalista europea.
Al di là dei simbolismi e dei significati, The new world conquista anche per il
forte senso di spiritualità che traspare, incredibile per un film,
assolutamente tangibile, che non è solo e semplicemente la diretta conseguenza
di una cultura (quella degli indiani d’America) fondata sull’amore
per la natura e sull’essenza spirituale dell’esistenza. Lo
spiritualismo (che racchiude in sé quello
cristiano-protestante degli “invasori”) ha valore universale, è
qualcosa che comprende tutto e tutti e che ritorna costantemente attraverso le
parole di Pocahontas, che si rivolge ad una madre e
un padre divini e ideali. Malick prosegue il suo lavoro astratto e poetico-filosofeggiante
con uno stile registico che ancora una volta, è la
continuazione formale de La sottile linea
rossa: l’immancabile voce fuori campo, sequenze bucoliche di estrema bellezza, immagini oniriche che incarnano il
ricordo.
Il suo cinema è
assoluto, spirituale, tende all’infinito, alla
trascendenza.
Malick
dimostra ancora una volta di saper gestire anche il suo reparto di
collaboratori, e nonostante da una parte abbiamo la
sua sceneggiatura che è, in alcuni punti, effettivamente troppo prosaica e meno
poetica, nonostante la colonna sonora di James Horner, che pur raggiungendo vertici
d’epica non indifferenti, non è all’altezza del film,
dall’altra abbiamo invece la fotografia di Emmanuel Lubezki che esalta
magnificamente le splendide immagini create da un’artista romantico e
naturalista quale il regista, specie se si pensa che ha girato completamente
con luci naturali e non artificiali. Le scenografie di Jack Fisk, poi, incarnano al meglio il
senso di natura selvaggia e incontaminata.
The new world è un capolavoro di un autore unico nel suo genere. Molti
registi contemporanei tentano di riprodurre il suo stile, l’intenso
pathos che trasuda dai suoi film, ma invano perché Malick riesce ad essere unico in
tutto. Il finale dell’opera è quanto di più bello e intenso si possa vedere, poesia pura, vita vera. Una
delicatezza profonda e inimitabile, necessaria al cinema, all’uomo, al
mondo.
(15/01/06)