POSITIF: UN SITO DI CINEMA ET AFFINI

 

HOME EDITORIALEVISIONIBOILINGFOCUS

SGUARDIREPORTINTERMEZZOARCHIVIO - REDAZIONE 

 

BAT

TLE

 

NINE

REGIA: Rob Marshall
SCENEGGIATURA: Michael Tolkin, Anthony Minghella
CAST: Daniel Day Lewis, Penelope Cruz, Marion Cotillard
ANNO: 2009

 

A CURA DI SANDRO LOZZI


I MIEI FILM SONO QUELLO CHE IO IMMAGINO!

Piccola, doverosa, e presuntuosa, premessa: chi abbia intenzione di leggere una (l’ennesima) accusa di eresia, invece che una critica di Nine (o almeno un tentativo di critica) può tranquillamente rivolgersi altrove. Qui a positifcinema.com siamo troppo pigri e sfaticati per pensare di dedicare energie e tempo a scrivere sciocchezze e banalità populiste finto-nostalgiche da quattro soldi. Tanto più, il sottoscritto ritiene che non esista film, né cosa alcuna, che sia intoccabile, ha un pessimo rapporto con la tradizione del cinema italiano, e considera 8 e ½ l’unico film effettivamente buono di un autore insopportabile, non abbastanza dunque da farlo inorridire alla sola idea di un remake.
Infine, ma questo è un dettaglio, probabilmente non mente del tutto Marshall, quando dice che Nine non è il remake di 8 e ½. In realtà, con questa affermazione Marshall dice molto di più, sta parlando della natura stessa del film di Fellini e, di riflesso, del suo.
Nella conferenza stampa che occupa l’incipit di Nine, Guido fa la sua dichiarazione chiave: «Uccidi il tuo film svariate volte». Facendolo, realizzandolo, uccidi il tuo film; ricreare artificiosamente i mondi reali della propria immaginazione, significa automaticamente smarrirne l’essenza. Quando subito uno dei giornalisti gli pone una domanda frivola, un sempre incredibile Daniel Day Lewis disegna sul proprio volto un agognato e perfetto sorriso di sollievo, poiché Guido si stava forse spingendo troppo in là nel suo intimo, con dichiarazioni sulla propria etica invece che sulla propria estetica.
Stacco netto sul titolo, e inizia propriamente il film, portandoci immediatamente al nocciolo della questione. Guido, regista italiano di successo mondiale, deve iniziare a girare il suo nono film, ma a pochi giorni dalle riprese non ha ancora un film da girare.
Ma è poi proprio così? Questa era la trama di 8 e ½. In Nine, le cose stanno un po’ diversamente.
Mentre il Guido Anselmi felliniano cercava lo spunto per dar vita al film, Guido Contini invece ha già il film vivo, nella mente, e quello che va cercando è il modo di non ucciderlo, come probabilmente teme di fare dopo gli ultimi due, unanimamente riconosciuti, fiaschi. Il film inizia – dopo l’incipit, che è più una prefazione, e il titolo – con Guido solo nel teatro di posa, che ha già pronto e attrezzato per il film, davanti alle scenografie che ha già pronte, basate sul titolo che il film ha già. «Maestro Contini – si chiede – come cominci questa cosa?» Ma il punto non è: “come prende vita un film?”. Entra in scena la Kidman, e lo bacia. C’è la star e c’è una storia d’amore: c’è tutto, il film è già pronto. Invero, la figura di Claudia (la musa/star) si riflette e si moltiplica, nell’ouverture musicale, nell’apparizione una dopo l’altra di tutte le altre muse di Guido, fantasmi della sua mente, riflessi delle diverse realtà dell’amore. Allora la questione che Guido si pone, e che il film di Marshall dibatte, è invece: “come muovermi, per evitare di uccidere il mio film così come uccido la mia vita?”.
Dopo l’ouverture, e l’incontro con il produttore (un produttore c’è già, naturalmente), il contabile della banca (i soldi ci sono già), assistenti vari (ci sono), e la costumista/amica/confidente (i costumi ci sono già, e anche i consigli), Guido deve affrontare la conferenza stampa di presentazione del film. Nuove dichiarazioni d’intenti («I film non sono modesti») e nuove informazioni sul personaggio («Ha esaurito le cose da dire?»).
Il primo vero numero musicale è proprio per Day Lewis, e parte quando le insidie della conferenza stampa iniziano a mettere Guido in ansia. La regia di Marshall è strepitosa. Costringere le scene musicali ad un montaggio serratissimo è lavoro tanto faticoso quanto rischioso, ma la resa è sempre – o quasi – perfetta. Guido che prima pensa e poi mette in atto la sua fuga dalla conferenza viene alternato, in un unicum atto/potenza, con Guido che, cantando «I’d like to be here, i’d like to be there, i’d like to be everywhere at once…», scala il suo set per esplorare il cuore del suo film. Mentre da una parte sgattaiola fuori dalla porta di servizio e scende di corsa le scale verso il parcheggio, nella sua mente (e quindi nel suo film) entra nel mondo di Italia dall’ingresso principale e sale di corsa, accompagnato dal crescendo musicale e dall’irruzione del coro, le scale della sua scenografia. Va via – da una parte – lasciando solo i fantasmi che ha creato, andando – dall’altra – incontro ai fantasmi della sua realtà.
Guido vuole essere regista forse più della sua vita che del suo film, avendo paura di rovinare quest’ultimo trascinandovi i riflessi dei propri fallimenti, personali, amorosi e morali.
Per questo poi sceglie un set, Anzio, scartando Roma perché, come gli fa notare il fantasma della madre (quantomeno bizzarra la scelta di far interpretare un fantasma alla Loren, che – con tutto il rispetto possibile per la persona – pare piuttosto un animale impagliato), la gente conosce Roma per come Guido gliel’ha mostrata nei suoi film. Roma è il mondo reale delle sue creazioni, non può ucciderla inserendola nella messa in scena che è la sua vita. Si sposta dunque nella località costiera agropontina, e qui, in assenza di Claudia, fa assurgere temporaneamente a ruolo di diva la prima donna(/musa) disponibile, la sua amante Carla: la dispone sul set dove meglio crede (ossia nella pensione vicina alla stazione, lontana dal suo lussuoso albergo) e la sottopone poi a giochi di ruolo erotici che sono dei veri e propri provini.
La relazione con Carla mette in evidenza come nella sua vita sia tutto posticcio, posticcio come i costumi sfarzosi realizzati da Liliane e gli spettacoli delle Folies Bergère dove ha imparato a realizzarli. Per avere dei momenti di verità, bisogna attendere l’arrivo e il confronto con Luisa, la moglie. Luisa è l’unica donna che Guido ami davvero nel senso più romantico del termine, è l’unico appiglio a cui Guido può aggrapparsi per restare a galla nel mondo, l’unico possibile anello di congiunzione tra le due dimensioni, quella finta (il reale) e quella vera (l’immaginario): Luisa è la personificazione dell’ordine simbolico, il veicolo attraverso cui l’inconscio di Guido può sopperire alla discrepanza incolmabile tra la realtà, che è inconoscibile e non significa niente di per sé, e il regno del principio di piacere.
E gli unici momenti di verità sono quelli in cui Luisa dice a Guido che è un bugiardo. È Luisa a svelare gli inganni e a mettere tutti inesorabilmente di fronte alla situazione per com’è: «Non mi meraviglia che tu non abbia un copione, sei troppo impegnato a disegnare la tua vita!». Sbattuto in faccia alla realtà, Guido rifiuta di continuare la sua messa in scena abbandonando la giornalista Stephanie (che, cantando le gesta di Guido come paradigma dell’italianità, è il riflesso della realizzazione del sogno d’amore infantile rappresentato dalla Sereghina, che al Guido bambino cantava “Be italian”).
Ma il danno è ormai fatto: le conseguenze delle sue scelte portano Guido a confrontarsi con la frattura tra i piani della sua personalità, quello reale (Carla), quello immaginario (Claudia) e infine quello simbolico, Luisa, ossia Marion Cotillard, forse il volto più straordinario del cinema di questo tempo, un volto capace di trasformare un primo piano ben utilizzato in qualcosa di sublime, in un poema epico sui tormenti dell’amore. Lo scarto tra il primo piano di Luisa durante il suo provino e quello, amaro e spietatamente rassegnato, alternato al provino dell’attrice mora che Guido vorrebbe scegliere per Italia, ci consegna la dimensione della disperazione che Guido crea intorno a sé e, di riflesso, dentro di sé.
L’unico antidoto è tornare indietro, per ritrovare sé stessi ed andare avanti. Per risanare la frattura tra immaginario e reale, Guido deve tornare a quando il simbolico non era in crisi, a quando la frattura non c’era. Per il film e per la sua vita, per Luisa e per sé stesso, Guido deve ritrovare il bambino che è.

 

ARTICOLI CORRELATI:

 

- MEMORIE DI UNA GEISHA di ROB MARSHALL

 

(07/02/10)

 

 

www.positifcinema.com   – all rights reserved – 2010