REGIA: Gaspar Noé
CAST: Nathaniel Brown, Paz de la Huerta, Cyril Roy, Olly Alexander, Masato Tanno
SCENEGGIATURA: Gaspar Noé, Lucile Hadžihalilović
NAZIONALITA': Francia, Germania, Italia, Canada
ANNO: 2009
USCITA: 9 dicembre 2011
STATI DI ALLUCINAZIONE REGISTICA: ABBANDONATEVI A OGNI SPERANZA VOI CHE GUARDATE
Gaspar Noé non è regista capace di contemplare le mezze misure: o lo si adora o lo si detesta. Punto. Il suo è un cinema invaghito dell'effetto sensazionalistico, inadeguato a considerare la sostanza, bensì esclusivamente votato e interessato alla forma della propria cocciuta e provante poetica: vale a dire l'istigazione per e delle immagini. Carne, mediometraggio diretto nel 1991, già rivelava molte delle intenzioni che si sarebbero palesate in un futuro creativo più o meno immediato (la tematica dello stupro, minuziosa cura della colonna sonora, primi sintomi d'invaghimento per il montaggio alternato e nervoso), le stesse che avrebbero trovato la quadratura del cerchio dieci anni più tardi in Irreversibile. Proprio la pellicola datata 2002 avrebbe finito per porre Noé nel bel mezzo di fuochi incrociati (sostenitori vs detrattori), in debito com'era nei confronti dell'ennesima rilettura sociale di un filone (il rape&revenge) già di suo scomodo e intollerabile ai più; fatte le dovute proporzioni né più né meno le stesse critiche formali e morali rivolte al connazionale Jean Kounen, reo, con Dobermann, di aver allestito un'operazione votata allo shock spettatoriale e poco altro. Parimenti portato in trionfo da chi intravedeva, nel suo videoludico crime movie, il cinema del futuro, quello del nuovo millennio. Racconti di trincea e di fazioni, di cui Enter the void poco si cura, in quanto cartolina tecnicamente plastificata e posticcia capace di oltrepassare i limiti del consentito, del permesso e del sostenibile (in quanto a pazienza s'intende), perché anestetizzato dall'interno dal significato ultimo di ogni film: la storia da raccontare. In questo frangente inquadrata non come un obiettivo massimo o perlomeno funzionale, bensì quanto elemento facoltativo, sacrificato sull'altare di scelte stilistiche che definire presuntuose è fargli un complimento, nonostante ciò incuranti del carrozzone allestito, in grado comunque di porsi su di un piedistallo superficialmente controculturale appartenente a novità tematiche che non hanno motivo esistere, in quanto clamorosamente fuori tempo massimo. Enter the void è un universo parallelo, dove Inland Empire è ancora in post produzione, Kathryn Bigelow non ha mai diretto Strange Days, Requiem for a dream è una bozza di sceneggiatura e Black Rain risiede ancora nella mente di Ridley Scott, mentre Trainspotting e Paura e delirio a Las Vegas non vengono classificati come cinema popolarmente riconosciuto, ma al contrario come opere elitarie e ignorate dal grande pubblico. Passi per il rigore stilistico, per la consueta dedizione al raffinato montaggio o per gli encomiabili raccordi dello stesso, così come non si può, momentaneamente, non restare affascinati dal caleidoscopico gioco di luci e forme fuori fuoco o, meglio ancora, dalla soggettiva che accompagna Oscar nel suo perenne fluttuare post mortem: ma quando è troppo è troppo. Enter the void scopre l'acqua calda, per giunta lasciandola ribollire un tempo esageratamente elevato (154 i minuti di durata), e stupisce in negativo chi ormai aveva iniziato a pensare che il cinema, almeno in Francia, avesse tratto giovamento dalla riscoperta dei generi, decidendosi finalmente a fare a ameno di certe operazioni con la puzza sotto il naso, buone solo per le conversazioni di cinema in un lounge bar.