OPERA di Dario Argento
REGIA: Dario Argento
SCENEGGIATURA: Dario Argento, Franco Ferrini
CAST: Cristina Marsillach, Ian Charleson, Urbano Barberini, Daria Nicolodi
NAZIONALITÀ: Italia
ANNO: 1987
USCITA: 19 dicembre 1987
LO SGUARDO RIVELATORE
Alla nona pellicola Dario Argento punta in alto e forte di un budget cospicuo allestisce uno spettacolo indimenticabile, tra immagini studiatissime e composizioni musicali suggestive, ma la detection è prevedibile e la recitazione mediocre. Guardando a maestri d’altri tempi, egli realizza un thriller dalle venature forti, dove ogni omicidio proietta dettagli sconcertanti, con particolari rosso sangue. Avvinto da una furia forse ancora inedita il regista romano costringe lo spettatore a non distogliere la vista dallo schermo elevando lo stesso a testimone dei brutali crimini. Argento così si prende una doppia rivincita sul proprio pubblico e su chi impedendogli di mettere in scena il Rigoletto (altro dramma dalle macabre tinte sempre a firma del compositore emiliano) lo aveva allontanato dalla lirica. «Devi vedere tutto» sussurra con voce inquietante l’assassino all’inerme spettatrice impossibilitata dallo sbattere le palpebre, sensazione che lo stesso regista farebbe provare allo spettatore troppo spesso pronto a chiudere gli occhi. Escogitando uno stratagemma degno del marchese De Sade (anche se il riferimento più palese è quello della Cura Ludovico di Arancia Meccanica al quale è sottoposto Alex De Large) il cineasta esplora i sentieri più insidiosi della suspense utilizzando, come pedine di un gioco al massacro, i fragili attori. Esseri pronti a calarsi in corpi e anime altre, qui sono ridotti a bambole di carne deturpate al punto da divenire quasi irriconoscibili. Come sempre i luoghi si animano grazie alla presenza di una fotografia curatissima e all’abilità del suo regista di comporre quadri onirici d’inesauribile splendore. Il teatro diventa così il set simbolo per ritrarre la morte dietro alla quale si annidano (come una sorta di nero presagio) numerosi corvi, guidati da un temerario creatore dedito a sfidare la sorte. Gli animali hanno sempre avuto un ruolo importante nel bestiario argentiano (si pensi solo agli insetti delle precedenti pellicole) ma in Opera i rapaci non sono soltanto essenziali bensì risolutivi. Il film si apre con l’immagine di una platea riflessa nell’occhio di un corvo; sarà lo stesso volatile a memorizzare il volto nascosto dell’assassino, a scovarlo tra la folla abbattendosi con ferocia sul colpevole e regalando una delle sequenze più complesse e spettacolari del cinema italiano. Il lungometraggio è pregno di estensioni e protesi dello sguardo: occhi terrorizzati e furtivi, intimiditi e spalancati, binocoli, condotti d’aria, di vetri e trasparenze, di spioncini puntati addosso allo spettatore, di presenze di difficile messa a fuoco offuscate dalla nebbia di dolorosi ricordi. Ancora una volta il binomio cinema – musica trova il suo compimento grazie ad una scelta ben dosata e intelligente: alle arie di Verdi si frappongono le roccheggianti melodie del fido Simonetti, in alternanza a quelli di Eno, della Callas, di Puccini e di Bellini. Purtroppo anche questo lavoro (da molti considerato il primo della parabola discendente dell’autore) sconta una serie di lacune di non poco conto. Se “i film più sofferti e meno tranquilli sono quelli più fortunati” qui il maestro della paura paga una serie di condanne davvero ineguagliabili, a cominciare dalla “dipartita” artistica di Giuliana De Sio poi sostituita dall’attrice spagnola Cristina Marsillach (curiosamente realtà e finzione si fondono nuovamente con la stessa nei panni di Betty chiamata a prender il posto della esperta soprano) per non parlare delle numerose sventure della fama maledetta del Macbeth sul set. Come ebbe modo di dichiarare la Marsillach a proposito di quell’esperienza “per Dario gli unici protagonisti sono le scenografie, i costumi, la fotografia, le musiche egli effetti speciali”. Il copione non brilla certo per lucidità registrando alcuni dialoghi di un involontario umorismo, snodi narrativi privi di coerenza logica e soprattutto battute in bocca ad interpreti non proprio straordinari, sintomo di una incapacità di lavorare con gli attori. Poco importa perché se è vero che il cinema potrebbe essere identificato come l’Arte del sogno, questo Argento è prezioso.