PROFONDO ROSSO di Dario Argento
REGIA: Dario Argento
SCENEGGIATURA: Dario Argento, Bernardino Zapponi
CAST: David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia, Clara Calamai, Glauco Mauri
NAZIONALITÀ : Italia
ANNO: 1975
USCITA: 7 marzo 1975
PROFUNDA MATER
In Profondo Rosso, probabilmente il capolavoro Argentiano per eccellenza, sono racchiusi gran parte dei tòpoi ricorrenti nella “poetica del terrore” del regista romano: l’ infanzia come culla del trauma che sta alla radice della pulsione omicida (e, con essa, l’importanza dei legami parentali dell’ assassino), la memoria, l’indagine individuale che non è solo ricerca della verità ma anche della propria, perduta identità, il concetto di non-luogo che si lega strettamente a quello del proprio io smarrito. Simboli precisi, cifre stilistiche inconfondibili che hanno reso il cinema di Argento oggetto unico e dai molteplici strati di lettura.
Più di ogni altro, l’ elemento del Femminile domina la sua filmografia: assassine, madri folli, streghe, oppure virginali eroine, le donne in Argento sono il sangue che scorre nelle complesse venature della sua arte, un matriarcato che affonda le proprie radici nel buio dell’ inconscio collettivo, altro territorio assai caro alla sua opera.
Le figure femminili in Profondo Rosso non sono soltanto predominanti ma possono essere considerate l’ embrione di ciò che vedrà la luce nel successivo Suspiria: ognuna di loro è legata in un certo qual modo al Magico/Stregonesco, rendendole così, seppur ancora in forma metaforica e legata al reale, prime rappresentazioni di quelle Madri detentrici del Terrore nel già citato Suspiria, in Inferno, e ne La Terza Madre. Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum appartengono completamente al sovrannaturale, ambito nel quale il regista si sposterà proprio da Suspiria in avanti, e sono state ispirate da un segmento del Suspiria De Profundis di Thomas De Quincey, nel quale rappresentano i Tre Dolori.
In Profondo Rosso, dunque, il Femminile può essere visto come preludio della Mater Dolorosa e Strega: il personaggio di Marta (Clara Calamai), madre di Carlo (presunto colpevole nel tipico doppio finale Argentiano, in realtà la vera assassina) incarna alla perfezione l’ archetipo; ella è, innanzitutto, genitrice, seppur folle e morbosa, amata dal figlio al punto da autoaccusarsi dei delitti da lei commessi. Marta è la chiave del trauma di Carlo, e assume tratti stregoneschi nella sua capacità di essere dovunque, di entrare in ogni luogo senza mai essere vista se non di sfuggita, presenza minacciosa e quasi onnipotente. E’ sofferente nel suo pianto sul finale, per la morte del figlio, nella dolorosa pazzia che la spinge a uccidere.
Se le figure di Helga Ulmann e Amanda Righetti hanno attinenze con l’ occulto più evidenti ma al tempo stesso scontate e sicuramente meno affascinanti, è in Gianna Brezzi (Daria Nicolodi) che possiamo ritrovare un personaggio magico in senso quasi fiabesco, una sorta di strega buona e ammaliatrice, una fata/elfo sensuale in modo inconsueto, che seduce Marc con armi variegate e atipiche, che vanno dall’ indipendenza alla più profonda insicurezza. Gianna è anche spirito guida, lume del protagonista nella sua incessante ricerca, lo espone al rischio mettendolo in prima pagina per poi ricoprire la funzione di figura protettrice.
Questo Femminile Magico si lega strettamente a Torino, nella quale è stata girata gran parte della pellicola ma a cui, nel narrato, ci si riferisce come a Roma (Madre/Lupa): ancora l’identità smarrita, in questo caso quella del luogo/non-luogo. Torino è punto focale di forze magiche ed è città che porta in sè un potente simbolo del Femminile, ossia la Chiesa della Gran Madre, simile a un tempio pagano, dall’ architettura uterina e costruita a ridosso di un fiume, dunque in prossimità dell’ elemento Femmineo per eccellenza. Un Femminile che trova specularità (e non a caso lo specchio è elemento cardine nel film) in siti che la narrazione priva della loro identità nominale ma non di quella effettiva, pregna di una carica simbolica eccezionalmente forte.
Profondo Rosso dunque, come gestazione dello stregonesco matriarcato che ritroveremo nei film successivi: qui calato nel reale, e con funzione di simbolo, è magnifico e terrificante presagio dello scatenarsi delle Dolorose Madri.