PROFUMO – STORIA DI UN ASSASSINO
REGIA: Tom Tykwer
CAST: Ben Whishaw, Dustin Hoffman, Alan Rickman
SCENEGGIATURA: Tom Tykwer, Andrew Birkin, Bernd Eichinger
ANNO: 2006
A cura di Pierre Hombrebueno
MERDA AFRODISIACA
Profumo. Dunque, olfatto. Oltre la sfera visiva, che
quindi presuppone il superamento stesso del Cinema nel senso più puro del
termine (il linguaggio per immagini in movimento) per arrivare laddove pochi autori ancora hanno messo piede (tra i primi che mi vengono
in mente: Pasolini e Cronenberg), dritto dentro il
naso per suscitare odori, oltre che soddisfazioni dell’occhio. Con un
intento simile, pochi avrebbero pensato a un regista
come Tykwer,
guru del post-modernismo video-clipparo, che riduce
le immagini in frame musicali da Mtv
come il generazionale Lola Corre,
manifesto di tutta la fine degl’anni 90’ e non solo. Perciò, come
si sarebbero congiunti in un’unica opera il libro cult
e pittorico di Suskind,
con uno stile di regia che proprio per sua stessa natura post-modernista, non
ha le qualità per un presumibile classicismo letterario?
La
risposta giuntaci è sorprendente, così come è sorprendentissimo questo Profumo, riletto, ri-evocato, e assimilato nella propria poetica autoriale, pur rimanendo fedeli alla sua significazione
percettiva. E’ la prova che il video-clip e il post-moderno sta crescendo
a dismisura, raggiungendo film a film vette altissime di provocazioni
sensitive, di ormai totale controllo della potenzialità cinematografica, per
immagini ed extra-immagini. Perchè in Profumo c’è tutta l’anima di
Tykwer, sottolineata più esplicitamente dai tanti montaggi-sequenza
e nell’unione così complementare tra musica e immagine filmata: la
colonna sonora di Heild/Klimek è
sempre extra-diegetica e non funge unicamente da enfatismo, bensì anche e soprattutto da calcolatore/scanner
ritmico, contorno rafforzante e scenografico (essenziale) dell’immagine,
puro video-clip, taglio messa-in-scenica del regista:
Profumo è con ogni evidenza ed ogni
singolarità, un film dello stesso autore di Lola
Corre. E se fino a qui ci vediamo una grande
coerenza stilistica nella cinematografia del giovane e talentuoso
tedesco, l’impatto estetico dell’opera è invece puramente
letteraria, o meglio, pittorica; fin dalla prima scena infatti, con quell’uso di ombre (giustamente oliata e patinatissima fotografia di Frank Griebe), lo spettatore è tenuto ad
entrare nell’universo Suskindiano, nel suo
taglio immaginario che ci viene (ri)proposto. Ecco
dunque il primo sguardo verso la popolazione, lurida come s’è vista
raramente sul grande schermo, un putiferio di merda , oscurità, e violenza. Sporcizia così tangibile (appunto:
olfattiva) anche in tutte le scene del mercato, fino alla nascita del
protagonista, pura topaia di sensazioni, schifo per l’immagine, ripudio e
provocazioni estreme (solo Miike, in tempi recenti, ha forse osato tanto), con quel
bebè (simbolo di purezza e d’incontaminazione)
immerso nel putrido. Immagini così forti che parlano da sole, dove la (seppur
grande) potenza della macchina da presa si
auto-annulla. In quell’istante è fissità (nel
cervello, nell’occhio, nello stomaco) di una poetica maligna, fiabesca
(nell’abbondante voice off) ma nel contempo anti-fiabesca (in questo
mondo dove tutti sembrano streghe e dove c’è poco spazio per i
principi-azzurri).
Già pochi minuti dopo l’inizio, capiamo di trovarci davanti un grande film. Grande extra-cinematografia,
che come se non bastasse, s’infarcisce di un’eccellente direzione attoriale, a cominciare dal protagonista Ben Whishaw,
con quell’espressività dell’inespresso
(nulla di più inquietante, perfettamente killer psicologico), fino ad Alan Rickman (il Piton di Harry Potter) e Dustin Hoffman.
Ricco, immenso, e proprio per questo, forse, ambizioso. E come tutti i film di
per sé grandi, la pecca (se di pecca si tratta) è da riconoscere
nell’eccessiva lunghezza che risaltano le
ripetizioni, bloccando di tanto in tanto la fluidità che comunque Tykwer
padroneggia, e come non potrebbe, è un video-clipparo!
Capita la maestosità del progetto che si tramuta in opera, Tykwer non trova la forza di
tagliare anche quando dovrebbe, di lasciare più spazio all’inspiegato, alla provocazione dell’ellissi, cadendo
più volte in una sorta di didascalismo tremolante.
Ma qua
siamo oltre il video-clip (non siamo sotto Eternal Sunshine, tanto per intenderci), Profumo è un gran cazzo
di favola nera piena di suggestioni, (retrosamente)
romantico quando Tykwer
si concede all’onirico e all’enfasi, produttore di tensioni quando
si concede al suspense più evidenziato.
Ed infine, la meraviglia e la grandiosità di tutto il blocco finale (che
ricorda, guardacaso, proprio una favola: Il pifferaio magico), quell’orgia – intrecciarsi di corpi – di
fantasmi abbracciati – bombardamento intrippante
di tutta l’arte figurativa e pittorica, lirico e sostenuto da un pathos
che non stancherebbe mai la visione accumulativa di
questa carne libidinosa e sovraccarica, pasoliniana,
per non dire mistica e subliminale nelle sue
poli-significazioni.
Tykwer non
è solo grandissimo creatore di spazi, ma anche di dimensioni proprie e
personali, nuove suggestioni uniche per il suo Cinema, che se in Lola Corre ci propagandava ancora come
il manifesto di un giovane regista talentuoso, qui in
Profumo innalza finalmente a livelli
meta-fisici (o fin troppo fisici, volendo) superando le barriere delle
(proprie) immagini e della propria autorialità guadagnata.
(28/09/06)