LA PROMESSE

REGIA: Jean-Pierre & Luc Dardenne
CAST: Jérémie Renier, Olivier Gourmet, Assita Ouedraogo
SCENEGGIATURA: Jean-Pierre & Luc Dardenne
ANNO: 1996


A cura di Pierre Hombrebueno

“PROMETTERE VUOL DIRE SCEGLIERE”

La macchina da presa dei Dardenne sembrerebbe sempre assumere una valenza oggettiva. Infatti, pare non voler mai scavare in ciò che mette in scena, limitandosi ad inquadrare come un qualsiasi passante capitato nel luogo dello svolgimento per puro caso.
C’è effettivamente un fantasma che si aggira attorno alle loro opere che si identifica nella macchina da presa, che sorvola tra i personaggi come un documentarista invisibile (e i Dardenne provengono proprio dal mondo del documentario), una sorta di occhio vertoviano facilmente riconoscibile anche nelle ultime opere di registi quali Gus Van Sant.
L’occhio dei fratelli belgi non diventa mai descrittivo o psicologico, ma tende a deframmentare dei pezzi di (non)realtà per trasfigurarceli sullo schermo come degl’attimi di vissuto di personalità totalmente anonime.
Non mostrano dunque dei veri e propri “personaggi”, ma solamente delle “persone” in un frammento della loro vita, spiate da un grande fratello orwelliano divenuto documentarista. Non è quindi un caso se ne La promesse, manca totalmente sia un inizio che una fine, e nonostante i tanti dialoghi, saranno pochissimi i campi-controcampi. La colonna sonora non esiste, così come qualsiasi tentativo di enfasi melò, in quanto i Dardenne tengono sempre una certa distanza dai loro soggetti, come se avessero paura di infiltrarsi ed addentrarsi come in una fiction col rischio di rompere lo specchio illusorio di realtà quotidiana.

La promesse è Cinema di emarginati per emarginati. L’opera si scherma infatti dal Cinema Hollywoodiano, artigiano di finzione e di sogni (ir)realizzabili; i Dardenne non osano sognare e creare elementi fuori dalla realtà comune, perché il loro è Cinéma vérité, derivato direttamente dai primi Nouvelles Vagues e Neo-realismi. Persiste ancora una volta la contrapposizione Meliès vs Lumière, dove nel post-moderno, il Meliès diventa l’oggetto di massa, e il Lumière, quello elitario per circuiti festivalieri e cinephilès (emarginati).
L’emarginazione si denota anche in tutti i personaggi dell’opera, a cominciare da Assita e i suoi co-immigrati clandestini, ma anche Roger, furfante anti-eroe che mai vedremo immerso nella vita sociale, in quanto è una personalità confinata ai bordi dell’esistenza.
Anche la scelta degl’ambienti è carica di isolamento: il condominio degl’immigrati diventa una specie di cella degradata, sporca e glaciale, ed è pura dannazione che questi extra-comunitari, che speravano proprio di trovare la libertà in Belgio, siano ancora una volta sfruttati e “rinchiusi” in un mondo che non è la loro.
E Roger, così ossessionato dai soldi e dai suoi interessi, è un po’ come imprigionato nella sua non esistenza senza via di scampo.
La speranza, l’unica, risiede in Igor, il quindicenne figlio di Roger: infatti, trova il coraggio di evadere dalla prima prigione (il lavoro all’officina), e tramite la promessa del titolo, trova il coraggio di abbandonare anche la seconda prigione, quella più grande che lo lega al padre e alla sua meschina routine.
In un certo senso, i Dardenne condannano tutti gli adulti: per loro non concede speranza, perché ormai sono troppo immersi nelle loro abitudini, rinchiusi in sé stessi e incapaci di scegliere vie alternative. Solo Igor, che possiede ancora l’innocenza della giovinezza, sarà capace di fare una scelta per cambiare direzione alla propria vita e spiccare il volo, correndo via e lasciandosi alle spalle il passato.
Possiamo quindi leggere La Promesse come un’opera di formazione, un frammento di realtà che si prefigura in Igor, non più ragazzo, non ancora uomo. Le uniche lacrime che vedremo nel film saranno proprio le sue, perché è il solo che forse ha ancora dei sentimenti, che ha ancora il sangue bollente che gli pulsa tra le vene.
Il mondo de La Promesse così come il mondo reale, gira attorno alle scelte. E fare una promessa, equivale a fare una scelta, magari una scelta dolorosa, di quelle che cambiano la vita, ma l’importante è proprio questo: essere liberi di scegliere, in bene o in male.

E’ una morale che ci arriva indirettamente da un film che non tende all’esplicitazione del giudizio, ma ad un’aggressione emotiva continua per chi sa sprofondare oltre le immagini (non)mostrate, in una parabola circolare che c’immerge nella scena tramite la repulsione. Ci scaviamo un proprio tunnel cercando di nuotare al di là del non mostrato, per poi accorgerci che una nebbia sta avvolgendo lo schermo: la macchina da presa si è fermata in un angolo, lasciando i suoi protagonisti in un corridoio silenzioso mentre vagano in lontananza. Non sappiamo dove andranno. Il frammento di realtà è finito. Ora tocca a noi costruirci una sub-realtà.

(16/12/05)

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