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Un legal thriller poco legal e per nulla thriller: DEVIL’S KNOT – FINO A PROVA CONTRARIA di Atom Egoyan

devil's knot (1)

REGIA: Atom Egoyan
SCENEGGIATURA: Paul Harris Boardman, Scott Derrickson
CAST: Colin Firth, Reese Witherspoon, Bruce Greenwood
ANNO: 2013

A vedere Devil’s knot – Fino a prova contraria di Atom Egoyan, viene da chiedersi come sia possibile che nessuno della produzione abbia bruciato la pellicola dopo le prime proiezioni di prova.  È altrettanto plausibile domandarsi se il progetto non avesse una segretaria d’edizione, un supervisore, un controllo-qualità: in caso fosse stata presente una di queste figure, come minimo si meriterebbe il licenziamento se non il riformatorio, giacchè il film è così pieno di buchi che un esercito di obesi non basterebbe a coprirli. Personaggi inesistenti (i genitori del terzo bambino ucciso), ombre che vanno e vengono (il tipo di colore ritrovato insanguinato in bagno, poi sparito, poi di nuovo tornato, poi risparito), scene totalmente prive di senso e funzionalità narrativa (Colin Firth all’asta), il tutto shakerato come un cocktail al veleno, laser acido per gli occhi e fumo cancerogeno per i polmoni. L’autore canadese, che eppure aveva già bazzicato queste parti (innocenze perdute e province traumatizzate: vedasi Il dolce domani), agisce da mero principiante e ricostruisce il tragico caso pensando di poter fare a meno del dramma. È il lato umano ad essere sacrificato, la controparte noir, lo scavo, intimo e profondo, di anime perdute. Piuttosto, concentra la sua visione sul versante più puramente giudiziario, mettendo in scena una meccanica carrellata d’interrogatori, sproloqui da tribunale e testimoni a sorpresa senza sorpresa. Bruciati vivi i personaggi come quelli interpretati da Dane DeHaan, ridotti a pupazzetti da tirare fuori a random, giusto per confondere le acque. Perchè se è vero che la storia, realmente accaduta, sia un covo di misteri e caos, ciò non giustifica un regista che ha fatto del ritmo un’iniezione soporifera di tesi incastrate fra di loro con lo stesso annoiante disordine dei vestiti in valigia al ritorno dalle vacanze, anche perchè ci hanno già pensato, e in meglio, i vari documentari che si sono occupati precedentemente della faccenda. A mancare, in Devil’s knot, è lo spasmo, il pugno nello stomaco, il brivido, il dolore (che mai per un secondo passa nella performance cagnesca di Reese Witherspoon, tantochè in tribunale si presenta sempre con un’acconciatura da miglior parrucchiera, nonostante le abbiano appena ammazzato il figlio). Egoyan lancia stuzzicanti evocazioni ma poi spegne costantemente la miccia prima di mostrare il fuoco: il risultato è un prodotto sterile, incapace di smuovere amori e umori, come un legal thriller poco legal e per nulla thriller.

PS: E qualcuno riporti la statua di Colin Firth al museo delle cere, perdio!

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