Venezia 2016: JACKIE di Pablo Larraín – In concorso
REGIA: Pablo Larraín
SCENEGGIATURA: Noah Oppenheim
CAST: Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig
ANNO: 2016
PRODUZIONE: USA, Cile, Francia
Lo sappiamo tutti che Pablo è uno dei migliori registi in circolazione, ma sappiamo anche che un film andrebbe dato in mano a uno sceneggiatore dello stesso calibro. Probabilmente è il lancio nell’etere statunitense, la collaborazione con tale Noah Oppenheim che fin’ora di qualche prodotto commerciale s’era occupato, ma in quest’ultimo lavoro dell’autore cileno c’è tutto lo scarto possibile evidenziabile tra regia e scrittura cinematografica. Perché sì, Jackie è un ottimo lavoro biografico che non riesce a sfuggire completamente ai canoni di una certa narrazione scolastica che si serve della pista di volo dell’intervista postuma e della binarità dei piani discorsivi per intentare la ricostruzione di una figura storia: un simbolo, una diva. La fortuna vuole che Larrain sia Larrain e che faccia spiccare il volo, per quanto, crediamo, non al massimo delle sue potenzialità, a un’opera a cui manca del colore, o la diversità miscellanea che questo può dare. Ciò nonostante, in Jackie c’è tanto di Pablo: la passionale manipolazione della storia (e della storia pubblica) che diventa storia dell’immagine, la febbricitante ossessione feticcio per i formati e le pellicole vintage, laddove la trasmissione televisiva dell’intervista alla First Lady non utilizza materiale di repertorio ma è replica evidente in un’interessante operazione riflettente il carattere fittizio della storia tutta, tema assolutista dell’opera. C’è la recalcitrante personalità di Jackie e una variegatura di emozionalità giustamente corredate da una messinscena-continuum funebre; il coraggio di girare spudoratamente l’attentato Kennedy senza censurare i dettagli macabri, nel ridare volto alla storia; il lavoro impressionante sulla pellicola e la mano registica che svolazza, armonica e disarmonica, in una sinfonia barocca regale e imponente. Jackie è un film introspettivo, magistralmente orchestrato, ma dal contenuto troppo drasticamente “americano”, nella riduzione all’elementarità di approccio ai dialoghi, che finisce per dimezzare il potenziale dell’opera. Osiamo pronunciare “peccato”.
♥♥♥♥- -/5