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LE LIVRE D’IMAGE di Jean-Luc Godard: Tremare, non tramare

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Regia: Jean-Luc Godard
Montaggio: Jean-Luc Godard, Fabrice Aragno, Jean-Paul Battaggia, Nicole Brenez
Anno: 2018
Produzione: Svizzera

Com’è possibile approcciarsi a Godard oggi dopo mezzo secolo di sconvolgimenti e messe in discussione?

Ci mettiamo davanti a Le livre d’image e ogni catalogazione, ogni discorso, ogni teoria viene meno; anzi, torna indietro. È come ritrovarsi davanti all’alba, al primordio, alla lallazione. Di fronte al cinema inteso Come montaggio, come dialogo tra immagini, come sconnessione visiva che diventa moltiplicazione mentale. Triggerati attraverso i sensi dall’artificio che mette insieme elementi naturali in modo ben accetto dal nostro cervello, in cui sensazioni e ragionamenti si piovo addosso.

In questo senso, Le livre d’image è stimolazione riportata al suo significato primario. Un gioco retro-avanguardistico (cosa c’è di più retrò della sensazione di ritrovarsi davanti a qualcosa “all’avanguardia”?) dalla lucida sregolatezza (quella sregolatezza propria della disciplina, intrinseca del sincero fare Cinema, cercandolo, desiderandolo, esplorandolo, accogliendolo), che dello stesso concetto di “sperimentalismo” si prende beffa, accantonandone programmaticità e idealismi.

Perché alla soglia dei novant’anni, JLG gattona: Le livre d’image è un film fatto di famelica curiosità, che vede il Cinema (quindi la società prima e soprattutto l’uomo poi, come oggetto utopisticamente da definire e da “afferrare”) come una terra sempre nuova, selvaggia, genuina, sincera, totalmente da perlustrare e impossibile da conquistare, in cui scienza (inesatta, ovviamente) e romanticismo si uniscono nel sensismo audiovisivo.

Il contraccolpo del montaggio, il sobbalzo del volume (in Dolby Atmos 7.1), il graffiare delle immagini (ora perfette, ora sgranate, pixellose o o deturpate dal supporto magnetico), i sottotitoli che vanno e che vengono: nell’orientarsi (senza pretese di onniscienza) nella discarica monumentale delle possibilità, sillogismi e congetture vengono meno, nello scartavetrante sommarsi di stimoli.

E si tratta di un gioco ovviamente di inte(r)letto, ma non nella respingente accezione comune, ma di puro percorso (non prefissato) di messa in rapporto, in modo del tutto non riflessivo, ma di apertura perpetua, cancello dopo cancello, in una traballante assenza di costruzione. E sono proprio questa mancanza di intenzionalità, il non voler erigere alcunché, l’irrisolutezza conscia, in cui tutto è imprevisto, ad annientare il canone, lo scopo ed il tramare, quasi fino a ricordarci che il concetto di nonsense è solo una truffa e che viviamo in uno sterminato punto interrogativo.

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