IN ON THE KILL TAKER: MUD di Jeff Nichols
Regia: Jeff Nichols
Sceneggiatura: Jeff Nichols
Cast: Matthew McConaughey, Tye Sheridan, Jacob Lofland, Reese Witherspoon
Nazionalità: USA
Anno: 2012
Una barca in cima ad un albero, a sua volta nascosto nel bel mezzo di un isolotto segreto. Mud inizia così, da un’immagine difficilmente rintracciabile persino in un testo dei Beatles più stralunati o tra le liriche dei Pink Floyd barrettiani, qui realtà tangibile, a portata di obiettivo: punto d’equilibrio sul contrappeso del quale liberare l’ispirazione letteraria di un racconto profondamente americano, radicato nel ricordo del Mark Twain di Hucklberry Finn e Tom Sawyer.
Jeff Nichols è diventato talmente bravo da riuscire ad ingraziarsi anche le simpatie del pubblico più esigente, quello già convinto delle sue indubbie capacità: lo stesso che lo aspetta al varco della terza prova chiedendogli, praticamente esigendo una conferma capace però di sorprenderlo ancora. Per rassicurarlo e metterlo a suo agio, al regista occorrono una manciata di fotogrammi: il tempo di un incipit che rimandi ad Undertow di David Gordon Green dove mettere in risalto una tshirt dei Fugazi, indossata da un coprotagonista dall’aria, e dal taglio di capelli, esplicitamente ispirati dalla visione di Stand by me. Dopo la rivisitazione western di Shotgun Stories e all’indomani dello shymalaniano Take Shelter, Mud dichiara l’ennesima abilità del cinema secondo Nichols: alla fantascienza succede il romanzo di formazione, terzo genere in ordine di tempo utilizzato per immortalare il lato più umano, vulnerabile, provinciale e arreso degli Stati Uniti; mostrati ancora una volta attraverso la prospettiva di scorci paesaggistici lontani dal concetto di cartolina da esportazione, eppure custodi di un fascino mozzafiato in quanto decadente e figlio dell’occhio che ce li mostra, irresistibilmente attratto da collocazioni geografiche inusuali e profonde: nettare vitale per una cinepresa che vi affonda.
Il terzo Nichols conserva alcuni punti di contatto con i suoi predecessori, richiamati alla memoria dalla consueta regia minimale strutturata su campi lunghi: a loro volta esaltati da una fotografia naturale e tenuti assieme da un tappeto sonoro elettrico e chill out al tempo stesso, eredità cinefila che diviene riflesso d’ambientazione riconducibile a La rabbia giovane, Città amara o L’ultimo spettacolo; classici della messa in scena del ventre molle americano. Nichols mantiene inalterato il suo sguardo western, proiettato sempre e comunque all’orizzonte e capace di filmare, con medesimo peso, tanto l’infinitamente grande degli spazi quanto – sopratutto – l’infinitamente piccolo delle esistenze che li popolano.
Dove Mud si emancipa dal suo fresco passato autoriale è nel momento della riflessione, che si distacca dal rimuginare sul nucleo familiare per concentrarsi sul crogiolo di sentimenti contrastanti al cospetto dei quali ci si trova giocoforza a confrontarsi nel momento della crescita. Non c’è maturazione o passaggio all’età adulta alcuno che non comporti distacco, sofferenza, dolore: Mud ce lo ricorda con lucidità prossima alla fiaba, trovando “il miele nel fango” attraverso lo sguardo di un adolescente che saluta la sua casa sul fiume e grazie alla presa di coscienza di un eterno ragazzo, killer per amore, un po’ stregone un po’ pirata; finalmente uomo non appena matura la decisione di mollare gli ormeggi di una relazione unica, forse meravigliosa, tuttavia impossibile.
Ma a pensarci bene, Nichols aveva già convinto dal principio. Con quella tshirt dei Fugazi sfoggiata sotto un taglio di capelli alla Stand by me.