NOCTURAMA di Bertrand Bonello 2/2: Our love is a weapon of mass destruction
REGIA: Bertrand Bonello
SCENEGGIATURA: Bertrand Bonello
CAST: Finnegan Oldfield, Vincent Rottiers, Hamza Meziani, Manal Issa
NAZIONALITÀ: Francia, Belgio, Germania
ANNO: 2016
David:
Ho concluso dicendo che il ventesimo secolo ha dimostrato che
la cosiddetta democrazia perfetta diventa nemica di sé stessa.
Può essere giudicata solo in base ai suoi nemici, non ai suoi traguardi.
Perché i suoi traguardi ci hanno portato… alla fine della civilizzazione.
Sarah:
Non ho capito nulla.
Quando entro nella sala periferica all’auditorium nella quale il film di Bonello è stato ottusamente esiliato, giunta qui in occasione della sua seconda proiezione italiana (probabilmente ce ne saranno soltanto un altro paio in tutto il paese, se contiamo il passaggio miracoloso che lo vede aprire il Filmmaker qualche mese dopo), ospitata in una sezione evidentemente fin troppo ampia e poco identitaria come quella di “Alice nella città”, dove Nocturama si mescola ad altre pellicole certo talvolta pregevoli e varie, ma dal carattere decisamente meno autoriale, io non so cosa aspettarmi. Del film di Bonello alla rassegna romana se ne parla poco e male, ma scopro che di Bonello, poi, se ne parla poco e male da sempre, perlomeno all’interno della cerchia militante di esperti o presunti tali. Io, che di cinema preferisco ritenermi ignorante anche di fronte a prova contraria, ho guardato Bonello piacevolmente spuria da inquinamenti e/o transizioni verbali di passaggio che la mente di consueto assorbe nel tourbillon cinefilo itinerante.
Così (a questo modo) scopro cos’è questo Bonello, ripudiato all’altare del capitalismo critico cinematografico, là dove le somme teste possono decapitare e obnubilare.
Scopro cos’è Nocturama in una sala troppo grande, troppo vuota, troppo dispersiva, troppo poco tempio e troppo poco identità; così è pallida immagine visualizzata in un ridicolo meta-specchio tra schermo votato al perdersi e realtà degli spettatori a loro modo paganti. L’esperienza di un vuoto mondano, mentre la pellicola scorre in una sorta di disinteresse generalizzato (o così sentito), vivifica l’impressione di un rimando più che d’apparenza tra messo in scena ed esperienziale.
Per Nocturama è senz’altro meglio non scomodare tutti gli Elephant e i Ferreri di cui si legge in giro. Non fosse per le evidenti somiglianze lì di contenuto, lì di approccio, di Bonello si parlerebbe come autore a tutto tondo con più frequenza e meno snobismo para-intellettuale.
Quando viene (forse) visionato e poi sradicato dalla trafila di titoli semi-certi della parata cannense crediamo convintamente che il narcisistico torpore dei sommi capi non sia poi così dissimile da quello degli sperduti giovani di questo film.
Raramente una tale padronanza ispirata dell’occhio cinematografico è così coniugata a un’audacia espressiva scevra di motivazioni retoriche e spinte eversive che risaltino agli occhi dei critici mestieranti più abbocchevoli all’amo. Quando Bonello vuole parlare di politica, di violenza, di intimità, di cose serie, lo fa togliendo tutto, in un minimalismo concettuale lucente, plateale esteriore. Perché le sovrastrutture pop sappiano spogliarsi e vivisezionare, evidenziando, la solita, mai stanca, società dell’orrore contemporaneo, corpo legittimo a sei teste di quella edonistica di trent’anni fa. Non organizza una solida matrice sociale da cui attentatori consapevoli attingono per colpire il comune senso “glocal”. Tutt’al contrario, i sette ragazzi (ragazzi poco speciali) di Bonello, che gli sembrano figli tanto sono spalmati di premuroso glitter, giocano con i simboli massimi della nazione, insieme, ognuno per i fatti suoi, mentre, nella mente di uno soltanto si ravvisa una coscienza nichilista tale da lasciar pensare a una cogitazione finita a priori che possa mantenere la fattezza di messaggio anche e soprattutto a posteriori. Quando i ragazzi si stancano di sfruttare il centro commerciale come perfetto luogo di passaggio, sanno di poterlo assediare. Sanno di poter esser loro prigionieri. Lì Bonello inscena un grandioso spettacolo di vanità e tentazione che farebbe gola anche alla cucitura dionisiaca più nascosta nel cuore di uno degli ultimi engagé politici, sempre che la definizione, oggi, sia impermeabile.
Forse Nocturama è fastidioso perché evira le metafore, spiattella asciutti ed eclatanti simbolismi con imbarazzante facilità senza che questi decadano, ridicolizzandosi da sé. Forse Nocturama è fastidioso perché è persino capace di sembrare apologicamente schierato (a favore dei terroristi persi di tutto il mondo, this is for you). Forse Nocturama è fastidioso perché non parla, anche a rischio di venir frainteso e tacciato di prudente, apartitico estetismo. Nocturama parla di terrorismo negli unici termini nei quali è possibile parlare di terrorismo, cioè parlando di (mancanza di) terrore, se non fino a quando la promessa di un paradiso (di superficie, tanto quanto ogni accordo e premessa all’azione) sfuma, fallace, dinanzi all’evidenza della morte, spazzando via in un attimo il cinismo più o meno a fondo sentito. Infatti è giusto opporsi ad ogni giudizio insensato che possa ritenere Bonello fautore di un’amoralità fatua e d’apparenza, misurata per ml nell’alambicco di una prosa algida e tutta votata all’esteriorità. All’opposto del parere critico c’è la percezione che egli abbia voluto un forte bene ai suoi protagonisti, al loro mediocre tormento, alla loro ferita inusitata dalla polvere, da una cancrena emotiva così à la mode. A essere amorevolmente freddo come solo Bresson era capace, Bertrand orchestra un procedere mortifero, a iniziare dall’esemplificativo, processuale piano-sequenza d’entrée, canto del cigno preparatorio alla prima (e ultima) teatrale, come fosse, questa, lo snuff movie di ogni singola mente teen. Perché è l’atmosfera permeante, sollecitante, perentoria, a fare la differenza. La disillusione di un sistema, come quella amorosa, nella cicatrice mai formatasi per il taglio primordiale, è realisticamente confusa in un calderone esistenziale in progress come quello adolescenziale che di nulla si sa convincere, se non della propria disperazione. Non si può stringere i denti per rimanere empaticamente estranei. Anche di fronte a una sospetta incapacità di sentire.
Beffa estrema di una deriva punk-industrial, Bonello gira da dio. Ma, allora, eccoci alle voci ventriloque: non si può girare così bene e metter giù una sinfonia, senza spartito alla mano, di un attacco terroristico in presa diretta dalla realtà, ché basterebbe attaccarsi ai telegiornali di tutto il mondo per capire quante sensibilità si possano aver urtato. Non si può girare di morte senza sobrietà. Ma la morte, qui, è, appunto, ancora più forte, ché quasi non c’è.
Solo in fondo il lavoro di Bonello, nella sua cangianza, riverbera a pieno tutta la sua profondità politica di pensiero, fatta di un atemporale umanesimo.
Grazie, Bertrand, quasi quasi ci crediamo ancora.
Da quando hai coscienza del tuo essere e dell’assurda organizzazione del mondo, dell’impossibilità di essere diverso, cosa ti dicono? Ti dicono: “Ubbidisci! “Non impicciarti di ciò che ti riguarda. “Presto saranno tutti felici”.
Io non aspetto la felicità universale, che sarà, credimi, terribilmente pallosa.
Voglio essere felice subito, a modo mio.
(L’Argent, Robert Bresson)
–> QUI LA PRIMA PARTE, A CURA DI FIABA DI MARTINO