Love will tear us apart – Esseri/e androgini tra amore e dolore: THE BRIDE WITH WHITE HAIR di Ronny Yu
REGIA: Ronny Yu
SCENEGGIATURA: Ronny Yu, David Wu, Lam Kei-to, Elsa Tang
CAST Brigitte Lin, Leslie Cheun, Leila Tong, Francis Ng, Elaine Lui, Yammie Lam, Joseph Cheng
ANNO: 1993
Dovessimo riassumere in poche parole il succo della storia de La Sposa dai Bianchi Capelli, scritta dal celebre novelliere wuxia Liang Yusheng, le più sintetiche e calzanti sarebbero queste: con l’amore non si scherza. Detto questo – e premesso che The Bride With White Hair, il film, è un magico esempio di cinema fantastico melò (dunque da vedere almeno una volta, magari in doppietta col suo secondo capitolo) – le parole che si aggiungono possono (devono?) essere considerate di contorno, complemento, atte sì a riempir minuti altrimenti preda di manovre anche più inutili della lettura veloce, ma poco più.
Due giovani si incrociano una notte, per caso: Zhuo Yihang (il volto pallido di Leslie Cheung), cresciuto ed educato alle arti marziali ma senza perdere la fantasia e un pizzico di spirito anarchico, e Lian Nichang (gli occhi magnetici di Brigitte Lin), eterea guerriera dai lunghi capelli corvini al soldo di un ambizioso clan malvagio e selvaggio. Sono loro i protagonisti della storia, sono i loro sguardi languidi e feroci che riempiono lo schermo insieme al fumo e alle luci blu della superba fotografia di Peter Pau. Sono loro la carne da macello che l’amore tormenterà davanti ai nostri occhi, tra rivalità, divieti, tradimenti, rimpianti, pene e dolori. Perché con l’amore non si scherza.
Yihang e Nichang sono due orfani di natura, il primo cresciuto da un maestro del Wu Tang clan, rigido ma confucianamente paterno anche se non confucianamente ricambiato dal figlioccio, la seconda allevata dai lupi, creatura notturna e primitiva, infiammabile e inquieta, che ha trovato una specie di famiglia in un culto mistico-demoniaco che avversa l’ordine costituito; due figure senza radici, nutritesi di un substrato che non hanno riconosciuto come proprio, alla ricerca di qualcosa che non hanno sperimentato nelle loro solitudini di fuoricasta: l’unione, l’amore. Ma con l’amore non si scherza.
Il loro antagonista, l’antagonista della loro emancipazione, e di conseguenza del loro amore che di questa emancipazione è l’immagine, è un essere duplice: il doppio maschile e femminile reietto e malvagio dei gemelli siamesi Ji Wushuang, che sfida apertamente il sistema sociale, politico, del Wu Tang clan. Come una traccia in negativo degli androgini platonici, le due entità che compongono Wushuang si nutrono del reciproco odio, dello scherno, e usano il loro rancore e l’impossibilità di separarsi come motore di malvagità e rivolta, conto il sistema, contro la felicità dell’unione amorosa tra maschile e femminile che loro sperimentano come limite fisico, carnale. Per loro l’amore, di cui il rapporto tra Yihang e Nichang, è il nemico, e con l’amore non si scherza.
La sfida è dunque tra mondi contrapposti, il maschio e la femmina, lo yin e lo yang, il potere costituzionale e quello della forza magica, la natura e la cultura, l’amore e la maledizione dell’amore, e siccome con l’amore non si scherza, la storia di Yihang e Nichang, di Wushuang al contempo maschio e femmina, è uno scontro che non potrà che finir male, tra ciocche di banchi capelli e picchi innevati e gelidi che diventano cella frigorifera di un amore infranto.
Questi sono gli ingredienti di The Bride With White Hair, della sua storia in cui il gioco dell’amore è uno scherzo del destino a detrimento della felicità dei protagonisti per insegnare agli spettatori i pericoli di una contrapposizione tanto forte da non poter non spezzarsi, prima o poi. Il resto è visione, emozione.