ROSSO SANGUE di Leos Carax

REGIA: Leos Carax
SCENEGGIATURA: Leos Carax
CAST: Denis Lavant, Michel Piccoli, Juliette Binoche
NAZIONALITÀ: Francia
ANNO: 1986
TITOLO ORIGINALE: Mauvais sang

IO VORREI CONTINUARE
A PRETENDERE IL MEGLIO
DI QUESTO TUO GIOVANE CUORE

MA NON SO IMPARARE
AD EVITARE IL SEGNALE
DI QUESTO MIO FOLLE DOLORE

“Tu incontri una ragazza al caffè. Ordini da bere, nascono dei sentimenti. Ordini ancora da bere, e poi ancora una terza volta. Allora all’improvviso ti viene voglia di pisciare e scendi nei bagni. Ti ritrovi da solo, la ragazza là sopra, senti che c’è un sentimento che comincia a crescere. 
Così, in quel preciso momento, mentre sei solo nella toilette, mentre stai pisciando, mentre ti lavi le mani, è la nascita del sentimento. E’ quell’istante così appuntito, il momento preciso in cui sai che la ragazza è la sopra, che la incontrerai presto. 
Rosso sangue è girato in quella toilette.”

- Leos Carax

Ci sono autori geniali, e ci sono autori posseduti dal genio. I primi scelgono la materia, e decidono consapevolmente di renderla geniale; quelli dell’altro gruppo, invece, non possono scegliere, in quanto ogni cosa che toccano è irrimediabilmente geniale. Leos Carax appartiene sicuramente alla seconda categoria, precocissimo, debuttato a 24 anni (con Boy meets girl, insignito di un premio speciale a Cannes) e già nuova divinità, liberatore dell’immagine da tutti i vincoli formali e semantici; risultato: ogni singolo frame di Rosso sangue, secondo e più compiuto film che esplica totalmente la poetica dell’autore francese, è immediatamente al massimo dell’evocazione: indelebile, Storia del Cinema, antologia, memoria, fantasma perché immagine morta, carica di pathos perché morta e risorta, e quindi, dato che non si muore due volte, eterna. Questo, ovviamente, a meno che non sei Jean-Luc Godard, che in quanto Gesù Cristo Nostro Salvatore, nasce-vive-muore e risorge continuamente dall’anno zero.

Neanche a farlo apposta, proprio Jean-Luc Godard ha voluto Leos Carax in veste d’attore per il suo King Lear, manco fosse un passaggio di testimone, un posare il continuo (il continuare) della Nouvelle Vague, ma anche un semplice scopare con la propria (nuova) ombra formatosi come una gemma sbocciata da un inconscio così maledettamente enigmatico ed imprendibile, sfuggente quanto l’Amore e la vita stessa che il Cinema proietta scandendola per fotografie (e quindi, per uccisioni anestetizzate ed impercettibili). 

Sembra quasi banale associare Carax a Godard, eppure è necessario per sottolineare perlomeno la portata e l’importanza, la bellezza dell’arte di Carax, che in questo film riporta nuovamente in galla l’assoluta autonomia delle varie componenti filmiche e registiche, l’omicidio in diretta di tutto ciò che possa definirsi accademico, predisposto e programmato. Se per regola un film nasce da un’idea che viene rielaborata nella sceneggiatura, una sceneggiatura che viene rielaborata nelle riprese, delle riprese che vengono rielaborate nel montaggio, il tutto in un flusso di continuità e inter-dipendenza, allora in Rosso sangue abbiamo la totale anarchia, perché davanti alla pellicola si ha sempre l’impressione che le varie fasi di lavorazione siano state concepite in totale indipendenza l’una dall’altra, risultando un’opera che respira una libertà così ampia come non si vedeva da tempo (da Godard?), la cui freschezza impressionistica è la chiave non solo estetica, bensì anche percettiva.

In Rosso sangue assistiamo ad un’antologica rappresentazione della potenzialità dell’immagine, distrutta-calpestata-ricostruita-risputata-assemblata, un’alternativa grammatica filmica senza barriere, capace di girare nel modo più moderno possibile e nel contempo tenendo la stessa fluidità cristallina di un racconto classico che di classico finisce per non avere nulla. In Mauvais Sang tutto vive indipendentemente del proprio spazio, dalla recitazione che molto spesso appare improvvisata, all’uso dei dialoghi, del sonoro e delle musiche, che partono e s’interrompono a proprio piacimento, ellissati, per sottolineare ancora una volta il senso di sospensione e sfuggibilità che il film mette in atto.  L’approccio di Carax è quello di un bambino con un sacchetto di puzzle, e Rosso sangue è opera naif, fanciullesco, immaturo, ma contemporaneamente rivoluzionario, capace di ridefinire i cardini delle regole prima di annientarle totalmente. Siamo sempre lì: chi ama il Cinema ha il dovere di liberarlo. 

E allora Leos Carax è un fottuto terrorista, un Joker che dipinge la sua visione del mondo riscoprendo nel Cinema la sua forma di creatività più assoluta ed immensa; Rosso sangue è un totale susseguirsi di contemplazione estetica, una totale rivisitazione del Cinema: ecco Carax contemplare la sacralità del Muto da una parte, e dall’altra sfoderare le ultime trovate videoclippare (che poi saranno care ai vari Fincher), (ec)cita WellesStraub-Huillet, il Futurismo, Mulas, e chi più ne ha ne emetta. Ritorna il primo piano al massimo della sua espressività, della sua potenza nel cogliere i dettagli dei movimenti e delle smorfie, la dolcezza di un soffio e un sorriso. Le meravigliose scene dall’aereo, con una paracadute che diventa video-arte per una frazione d’attimo. La sequenza del bosco fra i due amanti, che lascia ai corpi il peso della loro leggerezza (ce ne ricorderemo, più avanti, con autori asiatici come Tsai Ming Liang e Kim Ki Duk). E poi, la lunga carrellata su Denis Lavant in corsa, il senso per eccellenza di tutti noi che siamo figli della Nouvelle Vague: il correre per immensa felicità euforica (la presunta libertà (ri)trovata?), ma anche e soprattutto per sfuggire al limite dell’immagine (e dunque: del Cinema), il fatale bisogno di andare oltre, di non soffermarsi sul punto morto dell’inquadratura, piangere implicitamente fra le capriole e la ricerca assoluta del bello e del grande, l’Amore, che oggi così come 50 anni fa, continua a fuggire oltre il fuori-campo, al sicuro, inattaccabile, mentre sullo sfondo risuona potentemente il nuovo inno, Modern love di David Bowie, canzone che diventa il manifesto per eccellenza della poetica di Carax

Per quanto Rosso sangue possa apparire un noir che sale in superficie, è invece ed innanzitutto un racconto d’Amore tanto enfatico quanto commuovente, il fascino fatale della modernità, la velocità e l’imprendibilità, magnetica e pericolosa, tragica e quindi bella. L’accorgersi che tutto è già cambiato con uno sguardo. Che non sei più l’uomo che eri. Ora c’è lei, qualcuna per cui vale la pena (provare a) vivere e correre.

Antoine Doinel è diventato un eroe tragico trasfigurato in Denis Lavant. E Juliette Binoche, che nel film si chiama Anna (come la Karina di Godard), è più un’icona e un simbolo, piuttosto che un personaggio, un’ectoplasma che si auto-annulla in un flash forward che è la fine e l’inizio di tutto. Frammento ultimo di quest’opera, immenso quanto un Godard, moderno quanto e più di un Gondry, e nevromantico come un Wong Kar Wai giovanilistico. 

Amarsi  e poi.. sparire.

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