SUMMERTIME SADNESS: S.O.S. – SUMMER OF SAM di Spike Lee
REGIA: Spike Lee
SCENEGGIATURA: Victor Colicchio, Michael Imperioli, Spike Lee
CAST: John Leguizamo, Mira Sorvino, Jennifer Esposito, Adrien Brody, Ben Gazzara, Spike Lee, Anthony La Paglia, John Turturro, Michael Badalucco, John Savage
NAZIONALITÀ: USA
ANNO: 1999
A CITY THAT DOESN’T SLEEP
Spike Lee, quando va bene, è regista di cuore e di polmoni più che di fini intarsi. Ha un’anima grossolana ai limiti del grandguignolesco, una spigliatezza tutta carnale, una concezione dell’avvincente che trasuda di recriminazioni e odi profondi, di luci e ombre applicate alla comunità afroamericana cui dà voce da anni, di sesso, violenza, spaccati corali e sentimenti pulsionali. Quando prova sortite più smaliziate e tenta di forzare i confini molto ristretti del suo universo di riferimento (Miracolo a Sant’Anna in tal senso è l’esempio più macroscopico), i risultati sono a dir poco pedestri. Ma negli anni passati, ben prima dell’appannamento che sembra essersi impadronito di lui in tempi recenti, Spike Lee dava l’idea di saperci fare eccome. Specie quando calcava la mano su elementi a lui estremamente congeniali: S.O.S – Summer of Sam, a questo proposito, è uno degli esiti migliori del suo cinema. Storia di un killer con una particolare affezione per le coppiette appartate che terrorizzò New York nell’estate del 1977, quando il regista era ancora un ventenne, il film si muove a ridosso di una verosimiglianza d’epoca che parte dalla ricostruzione di atmosfere di enorme tensione per sfociare nel ritratto umano e sociale a tutto tondo di un’intera comunità, quella Little Italy che tanto capace è, al cinema, di bucare l’immaginario.
E Summer of Sam, di fatto, è il Goodfellas della filmografia di Spike Lee, quanto di più vicino al gangster movie campale e privo di mediazioni il regista afroamericano abbia mai realizzato. Lo stile è come di consueto insistito e sul parossistico andante, intento a orchestrare un affresco in cui l’esasperazione e la provocazione si distendono e poi si raggrinziscono, dosando potenzialità e respiro, accorciando il passo in determinati punti e allungando poi considerevolmente la falcata quando necessario. Dietro ogni lampo di violenza rock e iperrealistica si intravedono le corde tese al massimo, la mano volutamente calcata, l’ambizione dell’arazzo. E’ un film che prova a colpire al cuore con slanci incontrollati e imprevedibili, Summer of Sam, tra personaggi estremi, costumi sgargianti, creste punk (un indimenticabile Adrien Brody) e cani che parlano con la voce di John Turturro, tutti elementi che si ergono a rappresentanti di una fame di vita (e di cinema) espressa nella sua forma più bulimica e rutilante, tra i Talking Heads e gli Who di Baba O’Riley, tra la New York, New York dei titoli e la voice over che di tanto in tanto irrompe facendo propria con prepotenza la scena.
Il volto del killer è velato in virtù di un’ovvia necessità di reticenza e mistero e la mitografia è sempre in agguato nonostante si tratti di una ronda di personaggi estremamente negativi, quando non del tutto detestabili. Il killer della 44 che si fa chiamare “figlio di Sam” diventa allora ben presto il pretesto torrido per sguinzagliare una girandola di esistenze consumate e dilapidate all’ombra di una Grande Mela che Spike Lee per primo, presente nel film in svariati intermezzi in veste di reporter, non può non odiare e amare al tempo stesso. Il film ruota però tutto, ed è un bene quasi assoluto, intorno all’alchimia magnetica e invidiabile tra la Dionna di Mira Sorvino e il Vinny di John Leguizamo, con la prima a dover faticosamente passare sopra alle infinite deviazioni coniugali del compagno erotomane e tracotante, portavoce dell’ideologia maschilista di un intero microcosmo culturale. I loro balli, il sex appeal che grondano quando sono presenti nella stessa scena e il dinamismo erotico-musicale che emanano praticamente fanno il film e ne vanno a costituire il nucleo centrale, tra litigi e scopate, tra scenate continue e sfuriate indemoniate. Dopotutto, Summer of Sam è un mélo purissimo ambientato negli anni in cui si era un po’ tutti neofiti della disco music e delle paure condivise, dinamico tanto da risultare dinamitardo, incandescente e passionale.