SAW 2

REGIA: Darren Lynn Bousman
CAST: Donnie Whalberg, Shawnee Smith, Tobin Bell
SCENEGGIATURA: Darren Lynn Bousman, Leigh Whannell
ANNO: 2005


A cura di Sandro Lozzi

RIFLESSIONI SULLA POSTMODERNITÀ

Non prendeteci per snob intellettuali, se ci concediamo la libertà di affermare che è persino troppo facile dare addosso ad un film come Saw II.
Inevitabile sequel di un film che ha riscosso un discreto successo commerciale solo grazie al passaparola sul finale sconcertante, Saw II è a sua volta il film “di cassetta” per eccellenza: ricalca fedelmente la ricetta del primo capitolo diretto da James Wan, seguendo geometrie ormai consolidate nei manuali di ogni buon produttore hollywoodiano, e su cui già Craven ironizzava nella trilogia di Scream. Ecco allora che tutto nasce in funzione del colpo di scena finale, si parte da lì per costruirci intorno novanta minuti di film; aumentano le vittime dell’Enigmista e quindi anche la quantità di situazioni inutilmente scabrose e fastidiose alla vista; la macchina da presa si muove sempre di più per disorientare e meno per mostrare, figuriamoci per dire (o scrivere, seguendo l’assunto di Astruc sulla camera-stylo). In Saw II la sceneggiatura diventa elemento dominante dell’opera, unica attrazione di una pellicola in cui la mano dell’esordiente Bousman non si nota affatto (la regia ricalca in maniera talmente pedissequa quella del primo capitolo, che sorge più che un dubbio che a prendere le decisioni siano stati solo ed esclusivamente i produttori, tra cui lo stesso Wan); si nota invece quella di Leigh Whannell, sceneggiatore e vero autore di questo film come del primo, novello Aurenche del cinema-de-papà hollywoodiano contemporaneo.

Per questi motivi, dunque, risparmiamo proiettili evitando di sparare sulla croce rossa, tralasciamo l’analisi di un pessimo prodotto filmico uguale a tanti altri, e spostiamo il campo d’interesse su un paio di elementi del film, i quali, non so quanto – ma immagino poco – volontariamente, ci offrono spunto per alcune brevi riflessioni sulla condizione postmoderna del cinema, e sui suoi rapporti con la storia della settima arte.

La storia del cinema si considera (almeno per ora) chiusa, negli anni Ottanta, con l’avvento e la diffusione dei videotape. La possibilità di registrazioni, duplicazioni, diffusione capillare del materiale filmico e quant’altro, ha messo definitivamente in crisi l’identità artistica del cinema, sempre più disciplina e sempre meno arte. Ed ecco che, in Saw II, a mettere in crisi non solo gli agenti ma anche l’unità aristotelica di tempo (e quindi l’intera struttura narrativa del film), che credevamo fino ad allora rispettata, sono proprio dei videoregistratori e dei nastri registrati. Nella storia del film come in quella del cinema, è la scoperta del videotape a far crollare le certezze, a mettere in crisi l’intero sistema.

Ancor più stimolante, ai fini di un’interpretazione meta-cinematografica, risulta la scena d’apertura di Saw II.
77 anni fa, Luis Bunuel apriva il suo primo film, Un chien andalou, con la ben nota sequenza dell'occhio tagliato. Un’immagine, ma anche (e soprattutto?) un gesto, che voleva dire qualsiasi cosa, di cui si sono date le interpretazioni più varie. Il Surrealismo è il trionfo del simbolico, l’esplosione (figurata) delle teorie psicanalitiche di Jacques Lacan; Un chien andalou, scritto da Bunuel insieme a Salvador Dalì, contiene quelle forme di scrittura automatica attraverso libere associazioni e quelle modalità creative del linguaggio onirico che avvicinarono Lacan ai surrealisti dopo la laurea in psichiatria. Il gesto dell’occhio tagliato – probabilmente dallo stesso Bunuel, che compare nella sequenza – sta forse a rappresentare, ancora sotto la spinta ejzensteiniana verso l’attrazione (intesa come invenzione linguistica e di montaggio), la volontà di un intervento dei cineasti per aprire di più gli occhi, del cinema e dello spettatore, per allargare i confini del visibile, per andare verso un cinema che produca sensi o non-sensi, che sia tutto fuorché banale.
Il protagonista della prima scena di Saw II non trova il coraggio di tagliarsi l'occhio e recuperare la chiave che Jigsaw gli ha trapiantato dietro il bulbo, e in questo modo si condanna a morte certa, secondo le macabre regole del gioco dell’enigmista. Il film, quindi il cinema, non trova il coraggio di ripetere quel gesto che nel 1929 compiva con spavalderia e autoconsapevolezza, e in questo modo si auto-condanna sin dalla prima scena ad essere banale, ad essere nulla più di quello che vediamo. Nel cinema postmoderno, o, meglio, nella società postmoderna, il simbolico è in crisi. Registro reale e registro immaginario hanno tagliato i ponti (uso quest’espressione non a caso: il fatto che, nella prima scena de La casa 2, l’entità maligna distrugga il ponte che poteva permettere al protagonista di scappare, è abbastanza sintomatico in tal senso), e questo neutralizza quella logica della mancanza che, innescando il desiderio, spinge a cercare le risposte nel registro simbolico.
È per questo che il cinema postmoderno non riesce più a tagliare l'occhio.

Non più di un mese fa Giacomo Manzoli, durante una lezione del suo corso di Istituzioni di storia del cinema al Dams di Bologna, ha detto che probabilmente un film assume su di sé tutti i significati e le interpretazioni che gli vengono attribuiti. Noi “pensatori” non possiamo che essere d'accordo, e ci divertiamo a riflettere sul cinema anche davanti ad un'opera che non lo fa affatto, e che si auto-rappresenta bene nell’immagine di una vasca piena solo di siringhe vuote.

(23/01/06)

HOME PAGE