LA SCONOSCIUTA

REGIA: Giuseppe Tornatore
SCENEGGIATURA: Giuseppe Tornatore
CAST: Ksenia Rappoport, Michele Placido, Claudia Gerini
ANNO: 2006


A cura di Luca Lombardini

ROMA 06’: DAL (NUOVO CINEMA) PARADISO ALL’INFERNO

Sei anni di assenza dalle scene e un film di cui si sapeva più nulla che poco. L’atmosfera che si era venuta a creare attorno all’ultima fatica di Giuseppe Tornatore, era tale da assomigliare al sentimento di impaziente attesa che accompagnò i giorni appena precedenti l’uscita de Il Caimano di Nanni Moretti.
Curiosità, dubbi e incertezze che sono stati spazzati via dalla forza violenta e dirompente de La sconosciuta: un film duro, malsano, difficilissimo da mandar giù, forse leggermente ingordo, perché spinto da un avido desiderio di filmare e musicare anche ciò che andrebbe solo suggerito (ipertrofia comunque comprensibile visto gli anni che lo separano da Malena), ma comunque straordinario per coraggio e lucidità, doti attraverso le quali riesce a raccontare “una storia di ordinaria follia” tremendamente reale e attuale.
Perché la vera grandezza dell’opera vincitrice della sezione Premiere alla Festa del cinema di Roma, è quella di portare in superficie una vicenda che, pur non avendo legami autobiografici con la cronaca, apre una finestra inquietante sull’Italia di oggi, sulle sue storture e sui suoi piccoli orrori quotidiani.
Da grande regista, Tornatore opta per l’utilizzo di uno o più generi riconosciuti e riconoscibili (giallo, noir o melodramma, probabilmente tutti e tre, ma non è questo il punto) per sbatterci in pieno muso l’odissea di vita di una prostituta dell’est, intrappolata in un giro di neonati su prenotazione che, una volta liberatasi dal suo diabolico “datore di lavoro”, cerca di riavvicinarsi alla presunta figlia perduta.
La sconosciuta si rivela ben presto un riuscito break point artistico all’interno di una filmografia mai così cruda e diretta da i tempi de Il camorrista, un’opera che riesce nell’intento di bilanciare uno stile elegante e tecnicamente raffinato (l’incedere sulle scale e sulle finestre rimandano inevitabilmente ad Hitchcock e De Palma) con la sporcizia, il marciume e lo squallore di fondo che caratterizzano l’esposizione dei fatti.
L’inquietudine onirica generata dai continui riferimenti al cinema dei due maestri appena citati, viene ancor di più accentuata dalla scelta della location triestina, città di per se mitica e magica, ma anche agglomerato urbano di confine, passaggio geografico, frontiera tra due nazioni, ideale per suggerire e svelare il doppio ruolo, la doppia vita e il doppio intento della protagonista. Tornatore però, sta bene attento a non cadere nella trappola del film così detto “di denuncia”, guardandosi fin da subito dal circoscrivere lo svolgersi degli eventi dalla dicitura di luoghi o fatti “realmente accaduti” (l’ambientazione tutta, si svolge di fatto in località fittizie), ma allo stesso tempo non si tira indietro nel sottolineare, attraverso la metafora del nord che sfrutta il sud per i suoi deprecabili fini, le condizioni quasi “terzomondiste” di una porzione abbondante della penisola.
Cinematograficamente parlando comunque, La sconosciuta conquista l’occhio di chi guarda sia per le sue qualità di scrittura e di esposizione del racconto, sia per alcune performance attoriali veramente ragguardevoli. Da un lato la struttura a flashback rivelatori e una gestione dei meccanismi della suspense mai fuori tempo, dall’altro le interpretazioni di un cast difficilmente così ricco di grandi nomi, sui quali svetta un mefistofelico Michele Placido: sfatto, calvo, glabro, rozzo e perennemente sudato, un personaggio talmente crudele che pare uscito da un film di Di Leo, praticamente il gemello cattivo del poliziotto corrotto interpreato dallo stesso Placido nell’ultimo lavoro di Soavi, che si impone al fotofinish sull’ennesima e monumentale interpretazione di Alessandro Haber (ma quanti film ha fatto?), portiere del cupo palazzo dall’aria innocua, che laidamente intasca il pizzo proveniente dalle pulizie della domestica, e arrotonda ulteriormente lo stipendio, sottraendo notte tempo la polvere d’oro da un laboratorio di oreficeria.
Quella che ci racconta Tornatore è una brutta storia, una di quelle che, citando Lucarelli, “fanno paura”, una storia che può disgustare e rivoltare lo stomaco, ma non può e non deve lasciare insensibili. Anche perché il Cinema Italiano (e di rimbalzo la nostra cultura), ha un disperato bisogno di film come questi.

 

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