SCOOP
REGIA: Woody Allen
CAST: Woody Allen, Scarlett Johansson, Hugh Jackman
SCENEGGIATURA: Woody Allen
ANNO: 2006
A cura di Sandro Lozzi
IL FILM DEFINITIVO?
Prologo
Per introdurre un discorso sull'ultimo lavoro (e naturalmente è già in cantiere
il prossimo) di quello che forse è il più prolifico autore vivente, non
potrebbe esserci premessa migliore dei suoi quasi quarant'anni di carriera. Sì,
perché Scoop è - ancora una volta, e
sempre di più - il film definitivo di Woody
Allen, è la risposta sempre più precisa ed esaustiva a chi, cieco, si
chiedesse di cosa Allen abbia parlato
in oltre quaranta film, battute a parte. E' la sublimazione di tutto il cinema
del regista newyorkese portato alle estreme conseguenze.
Specchio riflesso! – Dialettiche e
illusioni
Il cinema di Allen è da sempre per
eccellenza cinema della dialettica, ove dialettica va inteso sia nel senso di
oratoria (meglio ancora, di parlantina) che in quello di dramma dei contrasti.
Se non va certo spiegata la prima accezione, nella filmografia tutta come nel
film in particolare (nelle vicende narrate in Scoop, un ruolo fondamentale soprattutto per Sondra e Sid hanno la
brillantezza e l'abilità nel parlare, il saper trovare le parole giuste, nel
modo giusto e con tempestività), vediamo in breve in che modo i contrasti messi
in scena in Scoop riflettano le luci
dell'opera omnia alleniana.
Cominciamo dall'inizio. Il giornalista di successo Joe Strombel muore, e
finisce sul battello per l'aldilà capitanato dalla morte in persona. Proprio la
personificazione "bergmaniana" della Sorella con la falce e la materializzazione dell'aldilà ci
riportano direttamente ad Amore e guerra,
e in generale ad uno dei grandi temi che un cinico nevrotico come Allen non avrebbe potuto non tirare in
ballo ad ogni opera (si pensi al magistrale movimento di macchina che rigenera
in un secondo proprio il percorso vita-morte passando da Allen allo scheletro da laboratorio, in Manhattan, nella scena della discussione tra Ike e Yale
all'università; o alla lotta per la vi(s)ta del protagonista di Hollywood ending; o alla crocefissione
in strada per il parcheggio in Bananas; alla morte rinviata del Dormiglione, o
a quella devastante/rigenerante di
Interiors).
Il set della carontica "crociera" è forse il più importante
dell'opera. Una piscina, una bagnarola di legno molto decorativa, fumo e luci
di scena (Ombre e nebbia?); il
costume della morte è molto evidente, le comparse sulla nave sono immobili.
Tutta la scena è impostata su toni marcatissimi, su un regime di scrittura
tutt'altro che classico. Sulla teatralità. Anche la macchina da presa è sempre
sulla quarta parete, riprende sempre dalla stessa quinta, proprio come gli
spettatori a teatro vedono tutti dalla stessa parte della scena. Ecco cos'è che
rende Scoop il (anzi, un) film definitivo
di Woody Allen, ecco dov'è che il
regista non si era mai spinto. La contrapposizione vita/morte viene rimarcata
attraverso l'altro grande dualismo che da sempre definisce il cinema
dell'autore, quello tra teatro e cinema, o più specificatamente tra scrittura
teatrale e linguaggio cinematografico. La sequenza in questione è
dichiaratamente di stampo teatrale, eppure solo utilizzando gli apparati
linguistici propri del cinema Allen riesce
a mostrarci Strombel che si tuffa e che sfugge (per qualche secondo)
all'attenzione della Morte. Strombel deve sfuggire alla Morte per mettersi in
contatto coi vivi, e per farlo Allen
non può che sfuggire al teatro e affidarsi al cinema e al montaggio.
L'incomunicabilità (altro tema trattato e ritrattato in tutte le sue
sfaccettature, dal biglietto scritto male nella rapina in banca di Prendi i
soldi e scappa, alle incomprensioni con i fan in Stardust memories, fino agli equivoci di Anything else) tra morti e vivi viene risolta attraverso il cinema,
attraverso il montaggio, attraverso i trucchi di scomposizione e ricomposizione
(in un incastro di scatole cinesi e di rimandi tra il numero di illusionismo e
l'apparizione di Strombel, giocato tra la magia mélièsiana dell'apparizione,
immaginata dal pubblico di Splendini e vissuta da Sondra che invece, in quanto
cavia del numero, viene a conoscenza del trucco usato dal mago - non
condividendo così l'illusione vissuta dal pubblico).
Questa ricerca della distanza tra cinema e teatro del resto è forse l'asse
portante dell'intera poetica alleniana, la ritroviamo indagata attraverso tutta
la sua filmografia, scrupolosamente, in maniere diverse, empiricamente, con lo
stesso accanimento con cui un alchimista dedica la vita alla ricerca della
pietra filosofale. Dal prologo (e il continuo rivolgersi allo spettatore) di Io & Annie, al dramma dei corpi e
dei sentimenti di Manhattan, due film
tanto vicini per età e per genere quanto opposti per metodo di ricerca; dai
kammerspiel (cinema nel teatro) di Interiors
e Settembre, al teatro nel cinema di Pallottole su Broadway, al cinema che
diventa teatro ne La rosa purpurea del
Cairo, fino all'impossibilità del teatro nel cinema-verità del documentario
(Prendi i soldi e scappa, Zelig);
dagli incroci in superficie di linee orizzontali e verticali (ancora Manhattan, Radio Days,...),
all'utilizzo della profondità di campo per le gag (da Sleeper ad Hollywood ending),
a quello "attivo" dei bordi del quadro per gli ingressi/uscite degli
attori (seguendo le lezioni di Renoir).
A chi lo ha sempre accusato di teatralità, Allen
ha sempre risposto col cinema. E con Scoop,
lo ha messo (ancora più) in chiaro, una volta per tutte.
Coerente fino in fondo, anche a costo di non essere capito: "Non ho mai
imparato a guidare dal lato sbagliato".
Il nuovo maestro – Suspense
e sorpresa
Come se tutto questo già non bastasse, Scoop
è anche la dimostrazione di come ormai Allen,
tra la sorpresa anche dei suoi più accaniti ammiratori (sottoscritto incluso),
sia assieme a M. Night Shyamalan il
nuovo grande maestro della suspense.
Come aveva già fatto in Match point,
infatti, il genietto di Brooklyn costruisce e trasmette la tensione attraverso
una serie di scelte di messa in scena accuratamente studiate in fase di
preparazione, atteggiamento che potrebbe sembrare una novità per Allen, almeno per chi ha una conoscenza
dell'arte del cineasta non più che superficiale.
A livello di macrostruttura, l'idea è piuttosto semplice: dice che il tal
personaggio potrebbe essere il colpevole, poi fa in modo di far pensare che non
lo sia affatto. Che alla fine sia davvero lui o meno l'assassino dei tarocchi,
si genera comunque sorpresa. E il colpo di genio sta nel fatto che Peter è sia
colpevole che non colpevole.
Nella sequenza della prima visita di Sondra e Sid alla tenuta dei Lyman, c'è
una scelta di regia che da sola vale tutta la suspense del film. Si tratta di
un dettaglio piccolissimo eppure fondamentale, una semplice e breve dilatazione
temporale di un'inquadratura che restando per un secondo "di troppo"
su un personaggio ci fornisce la (seconda) soluzione (errata) del caso. Quando
Peter presenta i suoi nuovi amici al padre, per poi proseguire nella visita
alla vasta proprietà della famiglia, la macchina da presa resta fissa su Lord
Lyman per un secondo, mentre il terzetto di protagonisti esce di campo dal
bordo sinistro, e ce lo mostra in un'espressione di sprezzante sospetto. Scatta
la suspense. Vorremmo entrare nel film e urlare ai nostri che il colpevole
altri non è che il padre di Peter (si giustificherebbe anche il dettaglio del
gemello perso), e per tutte le sequenze successive ci chiediamo quando il ricco
Lord tornerà in scena per farsi scoprire. Ma, naturalmente, Lord Lyman non
ricomparirà più per tutto il film; ci troveremo così di fronte la soluzione quando
ancora stiamo aspettando (quello che crediamo essere) il colpevole. Quando
Mr.Malcolm rivela la confessione del vero assassino, lo spettatore non sa più
che pensare; l'ipotesi più probabile è quella dell'ennesimo mitomane, ma se
invece fosse davvero lui il serial killer? Il resto, di lì alla fine, è solo
attesa, suspense e sorpresa.
Ma è a livello micro, all'interno delle singole sequenze, che le scelte
risultano ancora più calcolate, affinate ed efficaci. Valga a titolo di esempio
la sequenza in cui Sondra resta a dormire da Peter dopo il party durante il
quale Sid si era infiltrato per la prima volta nella stanza degli strumenti
musicali. La soluzione di continuità temporale che sta alla base della riuscita
della sequenza mostra una coscienza del mezzo degna di quei nomi che finiscono
nei manuali di regia e linguaggio cinematografico. Sondra si sveglia in piena
notte e, approfittando dell'abbraccio di Morfeo in cui Peter si sta cullando,
sgattaiola fino alla stanza blindata, inserisce la combinazione ed entra per
curiosare. Un primo inserto ci mostra Peter che ancora dorme: siamo tranquilli.
Uno successivo ci mostra il risveglio del giovane rampollo; la ragazza sta
ancora curiosando, scatta la tensione. Di nuovo macchina da presa su Peter, che
chiama Sondra. Stacco e Sondra continua incurante a frugare tra gli strumenti;
è spacciata, poiché ora Peter, non avendo risposta, si alzerà e la raggiungerà.
Nuovo stacco e infatti Peter fa per alzarsi, ma proprio in quel momento Sondra
compare sulla soglia della porta della camera, col bicchiere di latte (chiaro
omaggio ad Hitchcock, verso cui - chi
l'avrebbe detto qualche anno fa? - Allen
è ormai debitore cronico). Il tempo dell'azione di Peter e quello dell'azione
di Sondra non coincidono, si muovono attraverso due direttrici diverse proprio
come i due ragazzi, ma per giungere ad un comune punto d'arrivo, i due tempi
nella sequenza (micro) come i due protagonisti nel film (macro).
Scoop innesta dunque un gioco continuo di rimandi in sé stesso, nella sua
stessa struttura, ogni sequenza è specchio dell'intera pellicola come il film è
specchio dell'intera filmografia di Allen.
Epilogo
Scoop è quindi un film che fa rendere conto di come Woody Allen sia uno dei più grandi cineasti, di oggi e degli ultimi
decenni, poiché non solo è il battutista più geniale e divertente mai esistito
dopo Groucho Marx, ma ha una coerenza incredibile nel portare avanti, ancora
oggi dopo quarant'anni pur rinnovandosi di film in film, la propria poetica, e
gestisce ormai il linguaggio del cinema con una sapienza che lascia sbalorditi
ogni volta di più.
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