SCOTT PILGRIM VS. THE WORLD di Edgar Wright
REGIA: Edgar Wright
SCENEGGIATURA: Edgar Wright, Michael Bacall
CAST: Michael Cera, Alison Pill, Kieran Culkin
ANNO: 2010
(RI)BENVENUTI NEL (POST)POST-MODERNO
Scott Pilgrim è epocale, il superamento dei Wachowski (di Matrix ma anche e soprattutto di Speed racer) come opera emblema del post-moderno (oppure siamo già nel post-postmoderno?) più cibernetico, ad un passo dall’essere astratto in quanto solamente luce, e forse, in quanto tale, estremo ritorno al Cinema come meccanismo, inafferrabilità e trasparenza, libertà e anarchia. Il decoupage è sorpassato, qui siamo nel futurismo più avanguardistico dove il movimento è impercettibile nel suo essere quasi teletrasporto, rivelandoci la finitezza dello spazio cinematografico nel suo stesso collocarsi infinito e senza unità: il montaggio è spinto al limite delle possibilità, in un delirio di concatenazioni così insistenti da rendersi vero fulcro dell’opera; ecco perché, in questo tipo di Cinema non bisogna più parlare di messa in scena, quanto di messa in montaggio. Accade così quando lo spazio (presumibilmente una venue per un gig) si estranea immediatamente per diventare liberazione e fluo: le scenografie sono pura fantasmagoria, decorazioni ambigue, perché il vero luogo dove si muovono i protagonisti, dove combattono o si amano, semplicemente non esiste in quanto non solo privo di coordinate, ma anche di limiti. Scott Pilgrim è girato nello spazio siderale, nel nulla che in quanto nulla può essere tutto, in un tempo in cui ci si smarrisce se non si ha una mappa (e la mappa, in questo caso, è il countdown su quanti ex fidanzati mancano ancora). Allora, è esattamente questo ciò che cerca di fare Edgar Wright: tuffarsi nel cosmo dell’infinito cercando di porvi ordine, costruzione, causa ed effetto. Ri-appropriarci del Cinema in un momento in cui il Cinema non esiste più (semmai sia realmente esistito), e lo fa usando una graphic novel che per sua stessa consistenza è film immobile (vari quadri che si susseguono su dei fogli di carta) già atemporale perché il ritmo è solamente ed unicamente del lettore. Edgar Wright, e noi con lui, è questo lettore che plasma per poi perdersi nell’universo cosmico della percezione, nonostante la presenza più rassicurante dell’attuale Cinema americano, ovvero Michael Cera, che dalla factory di Judd Apatow si trasforma in indie rocker smashing pumpkinsiano. A rimanere, oltre la turbolenza audiovisiva, è un mood post-punk romantico che sembra la sintesi di un cd dei Sonic Youth, un film diCameron Crowe, ed Mtv. Lo spazio è ogni strada del mondo percorribile tra notti infinite, in cerca di una porta che sembra visione Gondriana (dunque: sogno?) e in cui mettersi momentaneamente al sicuro.
Scott Pilgrim è un’illusione e il Cinema è illusione: quindi, Scott Pilgrim è un film sul Cinema.